sabato 10 marzo 2012

Un singhiozzo nella Bottega del mistero

Un tralcio molto antico

Quando si parla di singhiozzo nelle barzellette si pensa agli ubriachi. Ma chi prese la prima, mitica sbronza? Secondo la Bibbia il patriarca Noè, sfuggito al Diluvio Universale, scese dall’Arca e cominciò a coltivare la vite. Fu il primo e poiché non conosceva gli effetti del vino ne bevve troppo e si addormentò ubriaco fradicio e mezzo nudo.
Secondo i Greci il vino giunse nella loro terra dall’oriente. Fu Dioniso, il dio straniero, a portarlo. Infatti era raffigurato con una tazza in mano ed era accompagnato da un corteo di satiri ubriachi. Nell’Odissea invece l’astuto Ulisse, consapevole degli effetti che poteva avere, per sfuggire al gigante cannibale Polifemo gli offrì tantissimo vino. E quando quello si addormentò, completamente sbronzo, lo accecò bruciandogli l’unico occhio.

Quando colonizzarono l’Italia meridionale i Greci introdussero la coltivazione della vite che attecchì così bene che quelle terre presero il nome di Enotria vale a dire “terra dove si coltiva la vite e si produce il vino”.
Alcuni studiosi ritengono però che la vite fosse già coltivata in Italia prima dell’arrivo dei Greci. Gli Etruschi la coltivavano infatti con un sistema diverso. Facevano crescere i tralci appoggiandoli agli alberi invece di sorreggerli con bastoni. Il sistema della “vite maritata”, come viene chiamato, fu introdotto dagli Etruschi anche nella Pianura Padana, dove avevano fondato dodici città (ma a parte Bologna, Mantova e Marzabotto l’ubicazione delle altre rimane misteriosa).

Poiché il clima era diverso dalle calde colline mediterranee fu necessario selezionare dei vitigni resistenti al freddo e ai climi nebbiosi della pianura. Nacque così l’antenato del Nebbiolo.
Poiché le popolazioni celtiche che vivevano dall’altra parte del fiume Po apprezzavano molto il vino impararono a loro volta a coltivare la vite. Nel frattempo vendevano i pregiati vini greci ed etruschi ai loro cugini Galli che abitavano dall’altra parte delle Alpi.

I Celti avevano un loro modo di trattare il vino. Innanzitutto coltivavano la vite maritata secondo il metodo etrusco. Tracce di queste coltivazioni si vedono ancora nel Novarese, ad esempio a Carpignano Sesia.
Inoltre erano capaci di costruire botti grandi come case, come riferirono gli sbigottiti viaggiatori Romani. E poi bevevano il vino puro, come la birra che producevano da tempo immemorabile, prendendo sbronze epiche. I Romani invece tagliavano il vino con l’acqua e altre sostanze come miele, frutta e petali di fiori. E persino diacetato di piombo, detto zucchero di piombo, per addolcirlo. Un composto molto pericoloso per la salute. Dopo di che davano dei  barbari ai Celti.


La danza del ragno

In una delle terre che anticamente portavano il nome di Enotria si coltiva un vitigno il cui nome è doppiamente nero.
Il nome viene infatti dal latino “niger” (“nero” in latino”) e “mavros” (“nero” in greco antico, diventato “maru” nel dialetto). Il Negroamaro (o Negramaro), un vitigno a bacca nera che viene coltivato soprattutto nel Salento.

In questa terra dalla storia antichissima esisteva una tradizione antica e misteriosa. Si riteneva infatti che il morso di un ragno velenoso e di grosse dimensioni che vive da quelle parti, la tarantola, potesse indurre una malattia simile all’epilessia ma diversa da questa, chiamata appunto tarantismo.
Per curarla i malati si recavano alla chiesa di San Paolo di Galatina dove venivano curati attraverso un particolare esorcismo musicale e utilizzando l’acqua di un pozzo. Da un lato la sua acqua serviva a curare i Tarantolati; dall’altro la sua presenza benefica ha sempre preservato i galatinesi dal contagio. La scelta di San Paolo è dovuta al fatto che negli Atti degli Apostoli si dice che fu morso da una vipera senza subire alcun danno dal veleno.

I tarantolati, oltre a bere l’acqua, cominciavano a danzare al ritmo di una musica ossessiva e indiavolata, la “pizzica”, lasciandosi andare a movimenti sempre più sfrenati. E se la musica cessava cominciavano a singhiozzare e disperarsi. Quando infine vomitavano nel pozzo l’esorcismo si considerava riuscito e i malati guariti.
Alcuni ritengono che il tarantismo, oggi scomparso, fosse una forma di isteria che colpiva soprattutto le giovani donne nubili nel caldo periodo estivo. Altri ipotizzano che potesse essere innescato dal morso di un ragno, ma non quello dell’innocua (di fatto) tarantola, ma quello della più pericolosa vedova nera mediterranea o malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus). Studi recenti hanno ipotizzato tra l’altro che il ballo convulso possa favorire il rilascio di endorfine capaci di neutralizzare gli effetti del suo veleno.

La “pizzica”, come musica, è comunque sopravvissuta alla fine del tarantismo, dando vita ad una riscoperta delle tradizioni musicali salentine che ha portato a farle conoscere ad un pubblico non solo nazionale. In questo movimento vari artisti si sono fatti notare per la capacità di innovare la tradizione dando vita a sonorità moderne con radici molto antiche.
Tra questi i più famosi sono i Negramaro, che prendono il nome proprio dal vitigno, esplosi con il brano “Mentre tutto scorre” che presentarono senza successo a Sanremo, ma che scalò subito le classifiche, grazie anche al fatto che il regista D’Alatri scelse varie canzoni per la colona sonora del film “La febbre” con Fabio Volo. Attualmente i Negramaro sono uno dei gruppi più apprezzati del panorama musicale italiano.

Negramaro – Sing-hiozzo

La foto è una cortesia di ELE.


La bottega del mistero vi da alcuni altri suggerimenti musicali.
Red Hot Chili Peppers - Under The Bridge
Guccini - Bologna

Ma voi, quali altre canzoni singhiozzanti conoscete?

Fatecelo sapere coi vostri commenti!


www.illagodeimisteri.it

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