C'è sempre una sfumatura di tenera malinconia nelle parole di Marco Franceschini, uno dei nostri autori. La storia che state per leggere, ad esempio, vi riporterà indietro nel tempo, in un'epoca in cui le strade, ghiacciate e innevate nei mesi più freddi dell'anno, erano luogo di avventurose scorribande per la vivace fantasia di un bambino.
Alla mamma il ghiaccio faceva paura. Non il ghiaccio in generale, le faceva paura il ghiaccio in certe situazioni, ecco… Temeva soprattutto quello sulla strada e considerando che papà faceva l’ispettore commerciale e viveva in auto gran parte delle sue giornate, qualsiasi fosse il tempo fuori dal parabrezza, non aveva torto.
A papà, invece, secondo me il ghiaccio piaceva e pure molto, almeno in certi casi: il preferito era senz’altro quello che masticava a cubetti, dopo aver sorbito una bibita, oppure un Martini rosso, che diffondeva un profumo, con la rotella d’arancia…
La mamma si arrabbiava, temeva per i suoi denti, e lui mi guardava con gli occhi che ridevano, gustando quel fragore di cubetti macinati in bocca. Era una cosa che, insomma, non si doveva fare! Ed il profumo dell’aranciata San Pellegrino o del vermouth facevano il resto. E che colori, poi!
Ma c’era un altro ghiaccio che papà affrontava, ed era quello più temuto dalla mamma: quello infido e grigio che spesso lastricava i passi dolomitici ed i fondovalle, da novembre in poi. E le auto di allora, la “seicento”, la “millecento” avevano grandi qualità, ma tra loro e le gomme degli anni '60, l’accoppiata non era proprio “da ghiaccio”. Roba da stare a casa, sotto le coperte. Ma a me sembravano grandi avventure.
Sulla neve si poteva contare su catene e un baule carico di sabbia, oppure sui pani di ghisa avvolti nella carta da pacchi, che papà aveva acquistato per poterli caricare, senza troppo sporcarsi, nel baule della millecento, quella con le luci simili a piccole pinne.
La ghisa schiacciava un po’ il sedere della Fiat e le catene tintinnanti traevano d’impaccio perfino a Passo Rolle. Ma il ghiaccio…
“Era come il vetro!...”, raccontava papà al ritorno, davanti alla minestra calda.
E la mamma ascoltava un po’ preoccupata ed al contempo sollevata.
Io invece sognavo una rossa Lancia Flavia coupé… Ed alla fine della mia corsa sulla neve ghiacciata, tra curve in controsterzo sulle gomme chiodate e fari che sciabolavano nella notte di Montecarlo, brindare poi alla vittoria con un Martini rosso e una fetta d’arancia. E molto, molto ghiaccio. Altro che champagne!
Il Ghiaccio di papà scritto da Marco Franceschini
1 commento:
Grande Marco! i tuoi racconti fanno sognare e ci portano suelle tue montagne in atmosfere dolci e delicate...
Un grande abbraccio da una Fans!
Annarita
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