Ci sono porte che si affacciano sui nostri ricordi, su quello che eravamo. E aprendo una di quelle porte, capita a volte l’occasione per fermarsi ad osservare, se non capire, il presente che ci sta attorno. E allora mettetevi comodi. Apriamo la porta ad una nuova storia.
“Montenapoleone, fermata Montenapoleone” gracchia una giovane voce negli altoparlanti della metro. È la mia, registrata vent’anni fa, in un piccolo studio dell’Azienda dei Trasporti.
Ero così orgogliosa, allora; pensavo che sarei divenuta famosa! Che sciocca ero...
Stamattina ho deciso di non andare in ufficio. È molto presto. Sono salita su questa carrozza, imbrattata con quattro graffiti scoloriti e con due soli posti liberi, in compagnia di quattro studenti spettinati e due donne allegre.
Mi sono seduta e ho deciso di viaggiare. Ascoltarmi mentre annuncio a me stessa il colore del mondo là fuori, mentre qua sotto ci si spinge per evitare sguardi e ritardi. Per non perdere coincidenze. Per evitare coincidenze...
Montenapoleone. La metropolitana si svuota di giacche, gioielli, valigette e profumi.
Le porte si riaccostano, chiudendo fuori dall’abitacolo il volto incantato di una giovane donna. Sembra una bambina che con un sorriso birichino saluta lo scuolabus partito, e i compagni già saliti che la guardano sconcertati, mentre l’abbraccio di un ragazzo la avvolge da dietro. Lei sorride, ed io, andandomene, non posso che sorridere con lei.
“Duomo, fermata Duomo”. La mia voce mi sorprende: trema ancora del tremito di vent’anni fa, tramutatosi in un cerchio d’oro che mi orna la mano sinistra. Sale un uomo, stringendo in una mano la mano di un bimbo, sotto il braccio una copia di uno scadente quotidiano gratuito distribuito all’ingresso della metro. Il piccolo piange, chissà per quale strana tristezza, per quale tenera paura che a volte i grandi non hanno tempo, voglia, coraggio di consolare. Il padre si siede, posa per un attimo lo zainetto del bimbo, la valigetta rigonfia di documenti, ripone il nervosismo per il ritardo e lo stress per quella riunione che lo attende in ufficio… La pagina centrale del giornale si piega alla magia delle sue dita veloci, trasformandosi in un cappellino da imbianchino, con dolcezza calato sul capo del figlio, che d’improvviso smette di piangere, stupito.
Rido. Ecco ciò che ho raccontato, per vent’anni, inconsapevolmente. La scelta di fare della quotidianità un piccolo tesoro, di macchiare di Sole il buio dei corridoi in cui riecheggia il silenzio.
Quotidiani scritto da Cecilia Forcherio
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