Come lo immaginate voi un tizio il cui soprannome è “Veleno”? Perfido, irrequieto, brillante magari, ma non certo uno stinco di santo. Beh, un tizio chiamato “Veleno” è il protagonista della storia che vi stiamo per raccontare.
Un pistoiese inquieto, classe 1925, un ragazzo sempre agitato. Di più: pestifero. Nessuno in grado di controllarlo, neppure a suon di scapaccioni. Per il giovane Veleno, d'altronde, era impossibile restare fermo. Senza combinare guai, soprattutto.
Fu la madre Ida, esasperata dalle sue continue birbonate, ad affibbiargli il curioso nomignolo: a tre anni o poco più, infatti, pare avesse già avviato un'attività in proprio, parallela a quella della bottega di famiglia, uno smercio clandestino di dolciumi sottratti agli scaffali e rivenduti sottobanco – mai termine fu più azzeccato – ai compagni di asilo. Un soprannome, quel Veleno, che il piccolo sapeva di meritare e che si portava dietro senza imbarazzo alcuno. Un appellativo di cui divenne presto orgoglioso e che gli rimane cucito addosso ancora oggi, ovunque si trovi.
Anno dopo anno, Veleno si fece sempre più caustico e chi si augurava accadesse il contrario, restò deluso. Mamma Ida compresa. Un velenoso dal cuore d'oro, comunque, un individuo che una ne pensava e cento ne faceva, questo sì, ma sempre pronto a sacrificarsi per il prossimo. A offrirsi, insieme alla sua ostinazione, a chi aveva bisogno.
Come quando combatté una delle più aspre battaglie del secondo conflitto mondiale e una palla di piombo lo trapassò da parte a parte, rischiando di farlo finire all'altro mondo.
Come quando, senza riflettere più di tanto, spese molto più di una parola per aiutare due ragazzini che avevano perso il padre trentenne in un incidente aereo.
Come quando, in un pomeriggio milanese del '57, si fece bastare mezzo limone per scatenare l'inferno proprio fra le gambe del diavolo. Un mezzo limone e un gesto astuto per piazzarlo fra il pallone e il prato, proprio lì dove il dischetto segnava gli undici metri. Proprio lì dove la pedata sbilenca di un milanista spedì la palla di cuoio sopra la traversa, a tempo pressoché scaduto. E con la sua Inter davanti di uno.
Proprio lì, dunque. Proprio lì dove i compagni lo abbracciarono per festeggiare con lui una nuova vittoria nel derby. Una stramba vittoria, quella, ma firmata - a suo modo - dal sempre perfido Benito “Veleno” Lorenzi.
L'uomo, il Veleno di Paolo Franchini
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