domenica 6 novembre 2011
Racconto: Diamante
Eccovi una storia fatta di fatica e sudore, di aspre salite, ripide discese e... inconfessabili scorciatoie. È una storia a pedali quella che vi stiamo per raccontare. La storia di un uomo che chiamavano Diamante.
Mi chiamavano Diamante, perché, dicevano, quando salivo sulla bici, un paio d’ali sembrava spuntare sulle mie spalle, ed era lì che cominciava lo spettacolo. Quello che non sapevano era quanto quelle ali, in realtà, pesassero. Amavo il ciclismo già da bambino, osservavo i raggi delle ruote che giravano, fino a confondersi in un’unica giostra sibilante e potentissima. I primi successi non tardarono. Non era l’idea della vittoria in sé, quanto la sensazione di perfetta empatia con il mio mezzo, a spingermi a tagliare per primo il traguardo. Nella fatica dei polpacci che spingevano, nella conquista di una salita ardua stava nascosto un sottile sentimento, che forse aveva molto a che fare con la parte più ingenua di me, ma che allora bastava a meritarsi l’appellativo di felicità.
Negli anni, però, tutto ciò sembrò perdere valore, per chi si accalcava ai bordi della strada, anima di quel tifo sfrenato che valse la mia fama e nei confronti del quale mi sentivo debitore. Volevano di più. Fu l’allenatore a suggerirmi come accontentarli. All’inizio avevo paura di quelle sostanze. Ma la gente sembrava felice, le vittorie fioccavano, i giornalisti accorrevano, i soldi giravano.
Il mio soprannome derivava dal greco adamàs, indomabile. Adamàs era un potente guerriero. La superbia che lo caratterizzava però, soverchiando la saggezza, offuscava la sua mente. Come il fuoco che ha il potere di ridurre ad anidride carbonica e cenere anche il più duro dei minerali, la sua indole finì per bruciarlo dall’interno. Durante una battaglia, sopraffatto dalla brama di vittoria, nella confusione inflisse un colpo mortale ad un compagno. Perse un amico, e condusse la sua città alla disfatta.
È successo un mese fa, sul Gran Sasso. Un infarto ha tentato di rapirmi: non riuscendoci, si è accontentato di trascinare via il mio futuro. Tra poche ore entrerò in una clinica di disintossicazione. Quel soprannome pesa ancora sulle mie spalle. Ma ai miei figli insegnerò a guardarsi dal desiderio di essere i migliori fra tutti, perché non cadano nella terribile tentazione di diventare peggiori di se stessi.
Diamante di Cecilia Forcherio
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