Ecco una storia un po’ inquieta, anzi... intorpidita, dove le parole ci rivelano, uno alla volta, frammenti di una quelle realtà da cui si vorrebbe fuggire, se solo qualcosa, qualcuno, non fosse lì ad impedirlo. Mettetevi comodi e state ad ascoltare.
Rimango immobile. Le palpebre semichiuse lasciano filtrare una luce che mi trapassa rovente. Perché la testa sta cessando di girare e, con lo svanire dell'anestesia, so che tra poco arriverà il dolore.
Non volevo svegliarmi. Stavo bene in quel limbo torbido e bianco di coperte d'ospedale e di camici d'infermiere, profumato di disinfettante. Avrei voluto rimanere immobile per sempre, una zattera umana a galleggiare in un mare calmo, tiepido, asettico.
Ma qualcosa mi ha riportata indietro strappandomi al sonno e, se le mie ciglia non fossero così pesanti, aprirei gli occhi per cercare il colpevole. E odiarlo.
Poi lo sento. Credevo che tutti i miei sensi fossero ugualmente storditi, lo speravo davvero, ma evidentemente è solo la vista a negarsi. Sento un rumore lieve e martellante che non cessa, che continua secondo dopo secondo a divorarmi la nuca.
Provo a concentrarmi sugli altri sensi, ad escludere dal mio mondo cieco ed ovattato quel rumore. Sotto le mie dita le lenzuola dell'ospedale sono ruvide, profumano di pulito e dei fiori che qualche amico ha messo sul comodino, in bocca ho il gusto amaro dei medicinali. E in testa quel rumore, ancora e ancora.
Provo più dolore cercando di aprire gli occhi di quanto non me ne dia la ferita fresca sull'addome (appendicite, non che me ne importasse troppo), ma alla fine riesco a mettere a fuoco la stanza, i muri bianchi e, finalmente, l'orologio dal bordo di plastica rossa sulla parete di fronte al letto, violento con il suo colore acceso e il ticchettare ossessivo delle lancette.
So che mi sarei svegliata in ogni caso, presto o tardi, ma per ora tornerò a chiudere gli occhi e gli darò la colpa per avermi strappato dal sonno più tranquillo della mia vita.
Tulipani meccanici di Irene Piana
Questo racconto, ispirato alla poesia “Tulips” di Sylvia Plath, è stato pubblicato anche tra le pagine della rivista letteraria “Arabica Fenice”.
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