Lo chiamavano “Il Bello”, amava il lusso ed era un criminale. Questa storia parla di lui. È una storia maledetta che vi porterà nel luogo del suo brutale assassinio.
Arrivo tardi.
Suono un paio di volte e poi entro, la porta è aperta. Il Bello è in salotto, legato alla sedia con del nastro adesivo e le braccia dietro la schiena, la testa riversa sul tavolo. Ha la cravatta ficcata in bocca, e nel collo, sotto la nuca, un cacciavite piantato fino al manico. La pozza di sangue riflette la luce della lampada e si allarga sul legno scuro, si insinua tra una bottiglia di vino, un bicchiere e mezzo panino al prosciutto.
Di bello non ha più niente. La faccia è un pezzo di carne livida e le bruciature di sigaretta anneriscono le braccia pallide sotto le maniche di camicia arrotolate. Anche la casa è devastata.
Hanno squarciato, smontato, spaccato tutto. È un lavoro accurato, sapevano cosa cercare.
Povero stronzo, il re dello scasso inchiodato a un tavolo. Non ho mai sopportato il suo atteggiamento da prima donna, e più d'una volta l'avrei fatto fuori per come mi guardava dall'alto in basso, come se la classe si comprasse con denaro e vestiti firmati, ma non meritava di finire accoppato in questo modo. E poi, nel suo mestiere, di classe ne aveva davvero.
Chi l'ha ridotto così ora verrà da me per fare piazza pulita.
Prima di filare lancio un'ultima occhiata al cadavere e qualcosa nell'insieme non mi convince. Il Bello era capriccioso, abiti firmati, ristoranti di lusso, caviale e champagne, e cenare in quel modo non era da lui, roba da pezzente per il suo palato viziato.
Mi avvicino alla tavola, attento a non imbrattarmi di sangue, e mi allungo sul panino morsicato, che a guardarlo bene ha l'aria di essere lì da un bel po'. Lo apro e sollevo il prosciutto. Conficcati nella mollica brillano i diamanti. Ci sono tutti. Niente da dire amico, li hai fregati proprio bene, in fondo non eri stupido come pensavo. Infilo in tasca il panino e me ne vado.
Un boccone indigesto
di Oscar Taufer
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