Ho imparato a leggere piuttosto presto, e di conseguenza a scrivere, animata dalla immensa curiosità che mi suscitavano l’alfabeto, le diverse grafìe, le parole e il loro significato.
Un po’ da sola, un po’ con l’aiuto di papà – che mi chiamava “Champollion” per questa mia particolarità – a quattro anni già leggevo le prime paroline e le frasette semplici. Più avanti con gli anni, alle elementari, leggevo tantissimo; perfino testi, diciamo così, impegnativi. Un giorno, non so se presa dal racconto o da una sopravvalutazione dell’autostima, mi persi un apostrofo e piombai in giornate rose dal dubbio e dall’incertezza. Insomma lessi, in un vecchio “Reader’s Digest” del nonno, che “LO ZIO è IL PADRE DEI VIZI”.
Da subito mi resi conto di non capire. Il Reader’s Digest mi aveva già insegnato tantissime cose ed era per me il Latore della Verità. Ora mi stava dicendo che lo zio era il padre dei vizi. LO zio capite, non uno zio in particolare di un qualcuno in particolare, ma LO zio. Il che significava che ogni persona sulla Terra aveva uno zio “padre dei vizi”.
Pensai subito a zio Luciano. Poteva essere lui il mio LO zio padre dei vizi. Certo non zio Giancarlo, attore, comico sì ma anche educato, e nemmeno zio Paolo, schizzinoso geometra pianista.
Zio Luciano certo non era il massimo della finezza, faceva il muratore e lavorava la terra: ogni tanto tirava qualche parolaccia, parlava a voce alta, rideva a voce altissima, beveva vino rosso a metà mattina e dopo mangiato faceva dei rutti davvero sonori. Qualche volta si grattava vigorosamente le parti basse. Ma da qui a dire che era “il padre dei vizi”… Mi faceva divertire un sacco quando andavo da lui in collina. Sapeva tutto sui frutti e sugli ortaggi, si arrampicava sugli alberi e mi portava ciliegie, albicocche, susine, pesche… mi spiegava come crescevano gli asparagi nella sabbia e mi mostrava i pulcini e i gattini appena nati. Aveva anche una grande pazienza quando io e i miei cugini combinavamo qualche guaio, tipo liberare i conigli per giocare al safari o mescolare l’argilla rossa con le uova rubate alle sue galline per applicare la tecnica di Leonardo all’intonaco del pollaio (come scritto sul Reader’s Digest).
Il dubbio mi rodeva. Non potevo crederci. Volevo bene a mio zio Luciano. Ma il Reader’s Digest aveva scritto nero su bianco che LO ZIO era il padre dei vizi. Forse avrei potuto confidare tutto a Suor Elisabetta, la mia maestra alle Orsoline. Però già sapevo che mi avrebbe fatto recitare mezzo rosario, almeno, e questo mi avrebbe fatto saltare l’intervallo e non avrei mangiato la merenda. E io dovevo mangiarla, perché ero sottopeso, diceva il dottore, e la merenda per una bambina sottopeso come me era assolutamente necessaria.
Iniziai a rosicchiare le matite e a mangiucchiarmi le labbra. Si avvicinava la fine della scuola e l’imminente partenza per le vacanze. Che trascorrevo là, dallo zio Luciano. Come avrei potuto guardarlo in faccia, sapendo che era lui quello zio, LO zio, padre dei vizi?
Finchè una sera, meditabonda e preoccupata davanti alla TV, vidi Tognazzi vestito da contadino che si vantava di aver preso a bastonate suo zio.
Da subito mi resi conto di non capire. Il Reader’s Digest mi aveva già insegnato tantissime cose ed era per me il Latore della Verità. Ora mi stava dicendo che lo zio era il padre dei vizi. LO zio capite, non uno zio in particolare di un qualcuno in particolare, ma LO zio. Il che significava che ogni persona sulla Terra aveva uno zio “padre dei vizi”.
Pensai subito a zio Luciano. Poteva essere lui il mio LO zio padre dei vizi. Certo non zio Giancarlo, attore, comico sì ma anche educato, e nemmeno zio Paolo, schizzinoso geometra pianista.
Zio Luciano certo non era il massimo della finezza, faceva il muratore e lavorava la terra: ogni tanto tirava qualche parolaccia, parlava a voce alta, rideva a voce altissima, beveva vino rosso a metà mattina e dopo mangiato faceva dei rutti davvero sonori. Qualche volta si grattava vigorosamente le parti basse. Ma da qui a dire che era “il padre dei vizi”… Mi faceva divertire un sacco quando andavo da lui in collina. Sapeva tutto sui frutti e sugli ortaggi, si arrampicava sugli alberi e mi portava ciliegie, albicocche, susine, pesche… mi spiegava come crescevano gli asparagi nella sabbia e mi mostrava i pulcini e i gattini appena nati. Aveva anche una grande pazienza quando io e i miei cugini combinavamo qualche guaio, tipo liberare i conigli per giocare al safari o mescolare l’argilla rossa con le uova rubate alle sue galline per applicare la tecnica di Leonardo all’intonaco del pollaio (come scritto sul Reader’s Digest).
Il dubbio mi rodeva. Non potevo crederci. Volevo bene a mio zio Luciano. Ma il Reader’s Digest aveva scritto nero su bianco che LO ZIO era il padre dei vizi. Forse avrei potuto confidare tutto a Suor Elisabetta, la mia maestra alle Orsoline. Però già sapevo che mi avrebbe fatto recitare mezzo rosario, almeno, e questo mi avrebbe fatto saltare l’intervallo e non avrei mangiato la merenda. E io dovevo mangiarla, perché ero sottopeso, diceva il dottore, e la merenda per una bambina sottopeso come me era assolutamente necessaria.
Iniziai a rosicchiare le matite e a mangiucchiarmi le labbra. Si avvicinava la fine della scuola e l’imminente partenza per le vacanze. Che trascorrevo là, dallo zio Luciano. Come avrei potuto guardarlo in faccia, sapendo che era lui quello zio, LO zio, padre dei vizi?
Finchè una sera, meditabonda e preoccupata davanti alla TV, vidi Tognazzi vestito da contadino che si vantava di aver preso a bastonate suo zio.
“Così impara”, diceva.
“Impara cosa?” gli chiedeva un elegantissimo Vianello.
“Eh, ho letto che lo zio è il padre di tutti i vizi…” . Vianello si metteva le mani sulla faccia: “Mannoooo! Cosa hai fatto, povero zio! Ma no, non hai capito!!! L’ ozio, ozio, è il padre dei vizi! Non lo – zio!”. Tognazzi era allibito. E io pure. Il pubblico rideva e applaudiva. Anche mio papà rideva. Mi avvicinai alla sua poltrona: “Papà, cosa dicevano dello zio? Io non ho capito”. Papà mi spiegò: “ Tognazzi, che fa il contadino stupidotto, ha sbagliato, e invece di leggere l’ozio con l’apostrofo, ha letto lo-zio. E ha creduto che lo zio fosse il padre dei vizi. Invece è l’ozio. Non sai cosa significa ozio? Quando uno non fa niente, si annoia, e allora per passare il tempo si dedica ai vizi. Ah, ah! Fa ridere no?”.
A me non faceva ridere. Io mi sentivo una stupidotta come il contadino Tognazzi. Corsi in camera e sfogliai il Reader’s Digest freneticamente, fino alla pagina che mi aveva dato notti insonni. Lo vidi bene: l’apostrofo era lì. L’ozio, accidenti a lui! Mi apparve il volto sorridente di zio Luciano. Come avevo potuto dubitare! Mio papà entrò e mi beccò sorridente con il libro in mano. “Cosa leggi?”. Cacciai la vergogna sotto le scarpe e feci una vera prova d’attrice: “Guarda, anche qui c’è scritto: l’ozio è il padre dei vizi. E Tognazzi non aveva visto l’apostrofo e credeva che fosse suo zio! Che scemo!”.
A me non faceva ridere. Io mi sentivo una stupidotta come il contadino Tognazzi. Corsi in camera e sfogliai il Reader’s Digest freneticamente, fino alla pagina che mi aveva dato notti insonni. Lo vidi bene: l’apostrofo era lì. L’ozio, accidenti a lui! Mi apparve il volto sorridente di zio Luciano. Come avevo potuto dubitare! Mio papà entrò e mi beccò sorridente con il libro in mano. “Cosa leggi?”. Cacciai la vergogna sotto le scarpe e feci una vera prova d’attrice: “Guarda, anche qui c’è scritto: l’ozio è il padre dei vizi. E Tognazzi non aveva visto l’apostrofo e credeva che fosse suo zio! Che scemo!”.
Già. Che scemo…
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