Quella che vi stiamo per raccontare è una di quelle storie che ti invitano riflettere
sulla nostra vita, le nostre regole, le nostre abitudini. Ma soprattutto sulle nostre paure.
“Il confine sconfinato” è il titolo del racconto che Federico Di Leva ha scritto per noi.
Tutto ebbe inizio quando Jamel fu strappato ai suoi genitori e gettato nel Labirinto: un corridoio lastricato di pietre umide e di insetti viscidi, dal soffitto del quale filtravano rare lame di luce.
A lungo pianse Jamel, sbirciando dai fori e delle spaccature, nella speranza di scorgere qualcuno che potesse udirlo. Urlò fino a perdere la voce. E quando non ebbe più il suono delle sue stesse parole a tenergli compagnia, capì che sarebbe sicuramente morto lì, se non si fosse dato da fare.
Così il bimbo cominciò a camminare, in cerca di una via d’uscita. E per anni la cercò.
Camminando nel Labirinto, Jamel divenne ragazzo, ed il suo corpo crebbe, e con esso la sua rabbia. Ma a nulla valsero i pugni ed i calci sferrati ai muri. A nulla valse il tentativo di scavarsi una via d’uscita attraverso il soffitto.
Con il tempo, però, la rabbia di Jamel si affievolì, come gocciolata via attraverso le profonde ferite che la rassegnazione ed i pugni dati al muro gli avevano aperto sulle nocche. E, una mattina, Jamel sentì che l’ira che portava nel petto era svanita. Non provava più odio. Voleva soltanto trovare l’uscita. Anzi, no. Non voleva l’uscita. Voleva la soddisfazione di trovarla.
Svanita la rabbia, ecco che, dietro un angolo, Jamel scoprì una luce che non aveva mai visto prima. Da quel punto in avanti, il labirinto proseguiva senza copertura alcuna: vulnerabile al Sole, alla pioggia, e ai pleniluni.
Jamel credette di essere finalmente libero.
Tuttavia, pensò che evadere non fosse quello il modo giusto di fuggire da un labirinto e, tornato nel centro del corridoio, ricominciò a camminare.
Camminando divenne uomo. E, allora, guardandosi attorno, vide che le pareti si stavano facendo più basse. Il vecchio labirinto stava crollando.
Ed il labirinto crollò, fino a che le pareti non divennero alte quanto uno scalino.
Nonostante questo, Jamel invecchiò e morì continuando a rispettare le regole d’un gioco che, ormai, non esisteva più. Lo fece per timore che aveva di ritrovarsi in un mondo senza strade, e senza sensi.
Il confine sconfinato scritto da Federico DI Leva
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