sabato 26 febbraio 2011

DONNE E UOMINI DI CARTA

Dico spesso che gli scrittori (e le scrittrici) sono persone di carta. Cosa significa? Tante cose, o forse poche cose, un insieme di fragilità e tenacia e una grande disponibilità a fondersi con l'inchiostro.
La carta è la carne e l'inchiostro è il sangue!
I personaggi di questo mio racconto vivono in questo mondo.
La vostra Poetrice

UNA SCRITTRICE DI TALENTO
Dicono che l’ho ucciso. Che gli ho conficcato il tagliacarte di Bulgari in platino e diamanti neri nella giugulare e la Montblanc, col pennino d’oro, nell’occhio sinistro.
Io ricordo solo il viso pallido come la cellulosa più pura, e lacrime di inchiostro.
In fondo, che cos’è un editore se non un Uomo di Carta?
Mi chiamo Ofelia.
Così mi hanno detto. Devo credere a ciò che mi dicono.
Perché ci sono cose che non riesco a ricordare.
Non afferro più certi pensieri. Ma certi altri pensieri afferrano me.
Per questo sono qui, e mi danno le medicine. Devo prenderle, le medicine.
Sono una scrittrice di talento, mi dicono. Il caso letterario dell’anno.
Di ogni anno, da quando è uscito il mio primo romanzo.
Ogni libro, un sacco di soldi.
Mi sono comprata una villa al mare, e un castello ai margini di una foresta le cui torri si riflettono in lago grigio metallo.
Il mio editore ha due Ferrari e una Porche 911.
Il mio editore vive con la sua famiglia nella mia villa al mare.
A me non importa, sono una scrittrice e voglio solo scrivere.
Non so fare altro, non so vivere in nessun altro modo, non so amare in nessun altro modo.
Tanto a me non piace, quella villa lì.
Ma il castello sì.
Perché non posso stare nel mio castello? Perché mi avete rinchiusa qui?
Mi piace, il mio castello, perché dalla bifora gotica della torre posso vedere il lago, e la foresta, laggiù.
La foresta.
Ho scritto qualcosa sulla foresta. Ricordo…
Ricordo la faccia del mio editore quando ha tolto il manoscritto dalla ventiquattrore Hermès e si è seduto su quella poltrona di pelle nella sua, no, nella mia, villa al mare.
Il mio ultimo romanzo. Bellissimo, il capolavoro di una vita talentuosa. Puro Amore.
Tredici mesi di scrittura orgasmica, senza dormire, senza mangiare quasi. Quasi senza bere.
Chiusa nella torre. Guardavo la foresta. E scrivevo. Puro Amore.
Ma il manoscritto era strano, diceva lui, impossibile da leggere.
Così lui, l’Uomo di Carta, ha chiamato lo psichiatra.
Non doveva farlo.
Ricordo la sua faccia, sì, quella me la ricordo: bianca.
Bianco il collo, bianche le mani, come se tutto il sangue gli fosse improvvisamente uscito dalle piante dei piedi.
Carne bianca, lacrime d’inchiostro.
Devo farvi una confessione.
Io sono in parte Ofelia, e in parte quella che ero, tanto tempo fa, prima che i folletti mi rapissero: una fanciulla che viveva in Danimarca.
E là io scrivevo. Scrivevo.
Poi, in un’alba oscura, arrivarono i folletti e mi portarono via, nella foresta.
Dormivo nelle tane dei conigli, mangiavo ghiande e radici, e soltanto dopo cento anni riuscii a tornare tra gli esseri umani.
Qualcuno mi trovò in un giardino, sotto il filo della biancheria al quale mi ero avvicinata per rubare un calzino.
Vi sarà successo centinaia di volte di trovare un solo calzino, nel bucato.
Una stranezza abitudinaria, che la gente accetta quasi come un dato di fatto.
Sono i folletti che li rubano, un bisogno primario diventato una sfida maliziosa.
Insomma, mi raccolsero. Mi sfamarono e poi mi diedero fogli, e matite.
Scrivevo.
Devo essere stata una brava poetessa, ai tempi, è l’unica spiegazione al mio immenso talento.
Ho ricordato tutto questo guardando la foresta dal mio castello comprato con i soldi dei miei libri.
Più scrivevo, più rivedevo quella ragazzina che trascorreva i pomeriggi componendo liriche nelle pianure della Danimarca.
E ancora il rapimento, la vita selvatica, i giacigli di foglie che accoglievano i miei pianti pensando alla mamma che non avrei più rivisto.
Infine, l’identità che si perdeva e svaporava stagione dopo stagione.
Reale come un incubo, è tutto vero.
Tutto raccontato lì, nel manoscritto.
Il capolavoro di una vita talentuosa.
Puro Amore.
E lui, il mio editore, l’ Uomo di Carta, lo rigirava tra le mani, lo osservava con gli occhi di fuori.
Io giocherellavo con il tagliacarte di Bulgari. Platino e diamanti neri. La luce e il buio.
Amore e Morte.
Diceva di non riuscire a leggere… nulla.
Con le dita bianchissime ha afferrato il suo costosissimo i-Phone.
E ha chiamato lo psichiatra.
Ricordo le lacrime di inchiostro, e il suo viso pallido.
Hanno detto che sono pazza, che sono un’assassina, che devo stare qui e prendere le medicine.

Ma io sono una scrittrice di talento, e lui era soltanto un misero Uomo di Carta!

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