Marie Therese Walter
Il 20 ottobre del 1977 mi sono impiccata nel mio garage a Juan-les-Pins, nel Sud della Francia. Ma forse ero già morta anni prima, nel 1973, assieme a Lui. Perché la mia vita dipendeva dalla Sua, forse più di quanto volessi ammettere a me stessa. Lui influenzava ogni mia scelta, ogni mio sorriso, ogni moto della mia anima. Lui, con il suo egocentrismo ed il suo mostruoso talento.Essere al Suo fianco era un onore ed una dannazione al medesimo tempo. Una dannazione perché non saresti mai stata la Sua Donna. Non importava infatti quanto fossi bella, istruita o intelligente, accanto a Lui si era condannati ad essere sempre la seconda. Al primo posto nella Sua vita c’era la Pittura.
Sono stata la Sua amante e la Sua musa. Voleva il mio corpo, ma non la mia anima. Non mi credeva abbastanza raffinata intellettualmente, forse. Per Lui ero solo un sogno, poco più che una fantasia. Non riusciva a vedermi se non come una bambola.
Ero la modella perfetta.
Non ha mai capito che io fossi concreta. Una persona fatta di carne e sangue.
Gli ho dato una figlia, Maya, una bellissima figlia. Abbiamo trascorso insieme quindici anni. Non ha mai avuto il coraggio di lasciarmi. Ho sopportato le isterie di una moglie gelosa e la sua assenza quando, dopo il divorzio, non ha scelto me.
Ho sofferto molto, ed in cambio non ho avuto nulla, se non dipinti nei quali io sono irriconoscibile. Perché il mio corpo diveniva pura astrazione, pura forma. Anche in quello che hanno venduto per ottantun milioni di euro.
Ottantuno.
Sì, questo il valore che ha una vita passata accanto ad un grande artista. Una vita a metà. Perché sono esistita solo come Musa. Vengo ricordata solo per la traccia che ho lasciato nei suoi quadri.
Mi sono uccisa perché i suoi pennelli mi avevano già reso astratta.
Avevo 68 anni il giorno della mia morte, 17 quando, presso la Gallerie La Fayette, mi fermò dicendomi: “Signorina, voi avete un viso interessante e vorrei farvi un ritratto. Noi potremmo fare delle grandi cose insieme. Io sono Picasso”.
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