lunedì 12 dicembre 2011

Racconto: Per un battito d'ali


Nella storia che vi stiamo per raccontare gli ingredienti della perfetta indagine poliziesca: un reato, un presunto colpevole lì lì per crollare e un indizio che lo inchioda. Insomma è un caso risolto. O forse no. Perchè in ogni poliziesco che si rispetti, il colpo di scena è sempre dietro l’angolo.



Le stesse risposte, da tre ore.
Non sono io quello inquadrato dalla telecamera e non ho partecipato a quel corteo perché ieri non sono nemmeno uscito da casa, e poi io in vita mia non mai tirato un sasso, a nessuno. Avevo staccato il telefonino per starmene in santa pace, volevo solo riposare.
La situazione si fa seria. Gettano sul tavolo delle fotografie. Il tizio in primo piano sembra un atleta in pedana. Il peso sul piede avanzato, la torsione del busto e il braccio disteso. Dalla mano aperta si stacca una pietra scura. Mi somiglia, è vero, ma non sono io.
Uguale corporatura, carnagione chiara, e il codino biondo scivolato fuori dal passamontagna, ma è la fenice sull'avambraccio ad inchiodarmi. L'immagine è nitida: stesse dimensioni, stessa posizione, anche l'inclinazione corrisponde. È identico al mio. L'avevo fatto perché mi portasse fortuna e adesso mi condanna, per un reato che non ho commesso. Il medico della polizia lo analizza, ne confronta ogni centimetro. Non so in che modo siano arrivati a me, e ha poca importanza. Cercano un colpevole e l'hanno trovato.
Io, condannato da un tatuaggio.
Le domande ricominciano, di nuovo. Osservo l'uomo incappucciato delle foto e rispondo in modo meccanico, senza pensare. Sono stanco, non li ascolto più, voglio andare a casa. Mi mostrano un'immagine presa da dietro, e il mio sguardo si ferma sulla gamba sinistra di quell’idiota, bianca sotto i bermuda, dietro al ginocchio. Bianca. Schizzo in piedi, slaccio il bottone dei jeans e abbasso la zip. Due poliziotti mi sono addosso, mi afferrano per le braccia e mi premono la testa sul tavolo.
I pantaloni scendono molli alle caviglie e scoprono nella parte alta del polpaccio sinistro il piccolo colibrì. È lui che mi scagiona.
Io, salvato da un tatuaggio.



Per un battito d'ali - scritto da Oscar Taufer

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