domenica 22 gennaio 2012

Racconto: Ombre cinesi


È un grande viaggiatore il protagonista della storia che vi stiamo per raccontare; un uomo la cui curiosità lo ha portato là dove altri non osavano. Un uomo la cui personalità, però, ci rivela anche sfumature inaspettate.



Dischiudo gli occhi uscendo dal sole abbagliante dell’ennesimo sogno. Mi trovo nella penombra della mia stanza. Qualcuno si muove lieve e sussurra accanto ai miei abiti poggiati sull’inginocchiatoio di legno tarlato.
Anche la mia fede è tarlata, mangiata via dai mille dubbi e dai mille dèi che ho incontrato negli anni trascorsi lontano da casa. L’ultimo davanti al quale mi sono inginocchiato non era un dio, ma un uomo.
Non piccolo né grande [...]. Bianco e rosso in viso come una rosa, con begli occhi neri e naso ben disegnato. Kublai Khan era il suo nome. E il mio… Marco Polo è il mio nome.
Per quell’uomo io ho viaggiato, ho vissuto, ho visto.  Mi sembrava tutto così grande, così immenso, tanto che il cuore tremava cercando confini che gli occhi non riuscivano a toccare e io, come un cucciolo appena svezzato, sognavo la mia piccola e stretta Venezia, rassicurante come un nido.
Ora che sono tornato, sogno i deserti gelidi e le pianure arroventate del Catai e come un leopardo selvatico tremo al pensiero di camminare per queste calli che mi tolgono il respiro.
“Messer Polo ha un male esotico per la quale non conosco rimedio” ammette lo speziale.
Mia madre sospira, e si fa il segno della croce mentre lo accompagna fuori dalla camera.

La luce dell’alba filtra e colora d’arcobaleno le pareti. Ho fatto sostituire i pesanti tendaggi di velluto veneziano con drappi di preziosa seta di Shangtu.
Una lucertola sul davanzale proietta la sua ombra di dragone cinese sul soffitto.
Quell’ombra mi rapisce… sorrido, e piango anche un po’.
Se sapeste, cara madre e voi, scrupoloso speziale, che laggiù ho lasciato il mio cuore, perduto tra gli zoccoli veloci dei cavalli mongoli, le bianche mura del palazzo di Cambaluc, le acque di fiumi infiniti; e ora nel mio petto c’è un buco profondo, un vuoto che la luce del mattino riempie di ombre. Ombre cinesi.

Ombre cinesi di Rossana Girotto

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