Alexander era un luminare: scienziato di fama mondiale, farmacologo illustrissimo, biologo pressoché onnisciente. Come spesso accade agli uomini di grande ingegno, però, alle sue straordinarie doti di studioso corrispondevano delle gravi, vistosissime ed esilaranti lacune dal punto di vista pratico, nell’amministrazione – insomma − delle faccende quotidiane. Il senso dell’orientamento, ad esempio, Alexander non sapeva neanche cosa fosse e tantomeno si destreggiava nel bricolage e tra i fornelli: non era mai stato in grado di smontare una persiana o riparare un tubo, e non aveva mai cucinato niente di più complesso di un uovo al tegamino.
Più di ogni altra cosa, però, Alexander era smemorato. Dimenticava tutto: appuntamenti, ombrelli, compleanni, convegni accademici e orologi. Se nella vita privata questa sua sventatezza non gli causava più di qualche fastidio occasionale, sul lavoro si trattava di un vero e proprio dramma. Faceva esplodere provette dimenticandole sul fuoco, sterminava intere colonie di cavie scordandosi di dar loro da mangiare, rovinava, insomma, decine e decine di costosi esperimenti. Eppure fu proprio questa sua indole svampita ad avvicinarlo alla sua più grande scoperta. Un giorno si scordò di pulire alcune piastre per la coltura dei batteri, Alexander, e se ne andò per il week-end. Al suo ritorno in laboratorio le ritrovò coperte da una patina grigina di muffa puzzolente, e provò ad analizzarle al microscopio, giusto per curiosità, prima di buttare i resti di quell’ennesimo esperimento andato a rotoli. Dopo pochi minuti, esterrefatto, si scostò dallo strumento con un sorriso estatico stampato in volto: aveva notato che, dov’era cresciuta la muffa, dei batteri non era rimasta alcuna traccia. Fu così che Alexander Fleming, scienziato smemorato, scoprì il primo antibiotico, la penicillina. A riprova di quanto, molte volte, l’umanità debba dire grazie soltanto alla curiosità di un uomo, alla sua distrazione, in fondo semplicemente al caso.
Più di ogni altra cosa, però, Alexander era smemorato. Dimenticava tutto: appuntamenti, ombrelli, compleanni, convegni accademici e orologi. Se nella vita privata questa sua sventatezza non gli causava più di qualche fastidio occasionale, sul lavoro si trattava di un vero e proprio dramma. Faceva esplodere provette dimenticandole sul fuoco, sterminava intere colonie di cavie scordandosi di dar loro da mangiare, rovinava, insomma, decine e decine di costosi esperimenti. Eppure fu proprio questa sua indole svampita ad avvicinarlo alla sua più grande scoperta. Un giorno si scordò di pulire alcune piastre per la coltura dei batteri, Alexander, e se ne andò per il week-end. Al suo ritorno in laboratorio le ritrovò coperte da una patina grigina di muffa puzzolente, e provò ad analizzarle al microscopio, giusto per curiosità, prima di buttare i resti di quell’ennesimo esperimento andato a rotoli. Dopo pochi minuti, esterrefatto, si scostò dallo strumento con un sorriso estatico stampato in volto: aveva notato che, dov’era cresciuta la muffa, dei batteri non era rimasta alcuna traccia. Fu così che Alexander Fleming, scienziato smemorato, scoprì il primo antibiotico, la penicillina. A riprova di quanto, molte volte, l’umanità debba dire grazie soltanto alla curiosità di un uomo, alla sua distrazione, in fondo semplicemente al caso.
Mario Favini
1 commento:
Serendipity è l'imprevedibile "arte" di scoprire qualcosa per caso...
Bel racconto, complimenti.
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