
di Mario Favini
Siamo saliti sul treno stamattina presto, quand’era ancora buio. Ero molto emozionato, perché era la prima volta che lo prendevo. Mi sembrano sempre tanto grandi, i treni, e mi fanno un po’ paura, ma la mamma dice sempre che mi succede solo perché sono ancora piccolo. Non mi piace, comunque, questo treno. Non ci sono posti per sedersi e ci sono davvero tante persone. C’è molto rumore e mancano i finestrini. Le pareti, però, sono fatte di legno, e tra le assi ci sono delle fessure, così posso guardare fuori, e vedere i campi. Scorrono così veloci…
Papà non ha detto nulla per tutta la mattina, e sembra molto triste. La mamma ora è seduta in fondo al vagone e piange, ma non so perché. Con lei ci sono tante altre donne, e tutte si abbracciano, e piangono. Sono tutti molto tristi, i grandi, e hanno paura, ma io sto con degli altri bambini e giochiamo, così il tempo passa. Giochiamo a fare gli sceriffi. È il mio gioco preferito, fare lo sceriffo. Mentre il treno corre veloce immagino di avere le pistole, di catturare i cattivi e di metterli in prigione. Ho anche una stella, da sceriffo, proprio sul petto, e ne sono molto orgoglioso. Ce l’hanno anche gli altri bambini, così giochiamo ad essere tutti sceriffi, e a sparare ai banditi che inseguono il treno. A un certo punto c’è uno scossone, e il treno rallenta. Cerco di guardare fuori, e vedo una grande scritta. Faccio un po’ fatica, ma riesco a leggerla: IL LAVORO RENDE LIBERI.
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