sabato 28 marzo 2009

Mario Favini evoca..."Arbeit macht frei".


Sceriffi
di Mario Favini
Siamo saliti sul treno stamattina presto, quand’era ancora buio. Ero molto emozionato, perché era la prima volta che lo prendevo. Mi sembrano sempre tanto grandi, i treni, e mi fanno un po’ paura, ma la mamma dice sempre che mi succede solo perché sono ancora piccolo. Non mi piace, comunque, questo treno. Non ci sono posti per sedersi e ci sono davvero tante persone. C’è molto rumore e mancano i finestrini. Le pareti, però, sono fatte di legno, e tra le assi ci sono delle fessure, così posso guardare fuori, e vedere i campi. Scorrono così veloci…
Papà non ha detto nulla per tutta la mattina, e sembra molto triste. La mamma ora è seduta in fondo al vagone e piange, ma non so perché. Con lei ci sono tante altre donne, e tutte si abbracciano, e piangono. Sono tutti molto tristi, i grandi, e hanno paura, ma io sto con degli altri bambini e giochiamo, così il tempo passa. Giochiamo a fare gli sceriffi. È il mio gioco preferito, fare lo sceriffo. Mentre il treno corre veloce immagino di avere le pistole, di catturare i cattivi e di metterli in prigione. Ho anche una stella, da sceriffo, proprio sul petto, e ne sono molto orgoglioso. Ce l’hanno anche gli altri bambini, così giochiamo ad essere tutti sceriffi, e a sparare ai banditi che inseguono il treno. A un certo punto c’è uno scossone, e il treno rallenta. Cerco di guardare fuori, e vedo una grande scritta. Faccio un po’ fatica, ma riesco a leggerla: IL LAVORO RENDE LIBERI.

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