sabato 2 maggio 2009

Marco Franceschini, Rocky, Rambo...che strana compagnia!

Rocky e Rambo
Regia di Dennis Hopper
Interpreti: Sylvester Stallone e Sylvester Stallone
Musica: Tracy Chapman

Rocky Bilboa, un pugile gay di origine italiana, trascorre le sue povere giornate sfaccendato, vagando per New York, ma potrebbe pure essere Filadelfia o Boston , tanto è uguale, lui è analfabeta e non sa leggere neppure i nomi delle vie nelle quali si trascina. Il suo vero nome sarebbe Rocco Montelepre, ma avendo lui una gran passione per le creme solari, la gente del quartiere lo chiama Bilboa, come l’abbronzante. Donato Rambo, detto Don, è invece un reduce, di quale guerra quello però non si sa, perché di solito, a partire dagli anni ’70, dopo il Vietnam, tutte le guerre si son chiamate interventi umanitari, peace keeping o roba simile, quindi si trascina stanco una palla di Kalashnikov in una gamba come ferita di pace. E per questo non percepisce neppure la pensione di veterano. Sta seriamente pensando, ormai, di farsi prete: il nome, Don Rambo, ce l’avrebbe già, e suonerebbe pure bene. Entrando in un bar, dove spera di trovare nello spirito lo spirito per dedicarsi allo spirito, insomma cerca un bourbon a buon mercato per decidere una buona volta se farsi prete, vede accanto alla porta Rocky Bilboa, che sta dando fondo all’ultima boccetta di crema solare, sperando così, invano peraltro, di migliorare il suo aspetto. Ma Don è un uomo buono, soprattutto quando il maltempo non gli fa dolere la palla di mitra nella gamba, e quel giorno è pure sereno, un clima bello secco… Rivolge la parola a Rocky, che si sta pulendo le mani unte di Bilboa, nel senso di crema, sulle brache di cotone grigio, appartenenti un tempo ad una tuta da ginnastica da poco prezzo.
“Allora, ragazzo, te lo fai un goccio?” gli fa Don Rambo, ormai quasi preso nella parte del sant’uomo. “Non sei il mio tipo, prete!” gli fa con voce di soprano stanco Rocky, ma poi, dopo una breve esitazione, lo segue nella penombra del bar, illuminata dai neon azzurri e rossi della birra Bud e dell’Old Kentucky. Dietro il bancone, tra i bicchieri che riflettono i colori della pubblicità luminosa e della poca luce giallastra, c’è un vecchio nero, un gigante con le maniche della camicia arrotolate ed il panciotto di raso color marron glacée. “Che vi do?” chiede il gigante di colore ai due male in arnese. “Una nuova vita, fratello!” esclama Rocky Bilboa, con voce di soubrette. “Già, figliolo, una vita nuova!” gli fa eco Don Rambo, strofinandosi le mani con gesto clerical-parrocchiale. “Non è ancora ora di farmi prendere per il culo, fottuti bastardi!” ringhia il gigante nero in gilet di raso, e tira fuori da sotto il bancone un gigantesco fucile a pompa, da caccia all’elefante, puntandolo contro i due. Poi, tenendo il cannone con una sola mano, fa fuoco due volte, mandando i corpi dei due a sbattere tra tavoli e sedie, a dieci piedi di distanza, come due fantocci senza peso. “La nuova viita? Eccovela, rottinculo!” aggiunge tra sé e sé, mentre la nuvoletta azzurrognola della cordite comincia ad abbassarsi lentamente.
E poi, riprendendo ad asciugare i bicchieri con lo strofinaccio che teneva sotto il banco, aggiunge: “Fottuti assicuratori, non li sopporto, loro e le loro polizze!”.
Sottofondo: parte una canzone di Tracy Chapman

Questa è la storia di Rocky “Bilboa” Montelepre e di Donald “Don” Rambo, due che avevano sempre trovato l’America dalla parte sbagliata. Un film che difficilmente vedrete.

Marco Franceschini

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