10 ottobre 2009 Bentornati a Siamo in Onda!
Parole.... è il tema di questa prima serata. PAROLA: non è una bella parola?
A volte le parole diventano armi, altre volte ci stancano, altre volte vogliamo tacerle perchè svelano troppo di noi.
Non avete mai pensato, almeno una volta, "basta, non parlo più!" ? Io sì, sapete.
Ecco perchè la "mia " Elena di Troia, come personaggio teatrale, è uscita così:
ELENA
Ascolto, nella sera, le parole-profumo cupe e musicali, dell’alloro, il parlottare denso e aspro dei mirti, il sussurrare dolce delle zagare.
Vorrei scuotermi da questa ipnosi vegetale, vorrei ricominciare a parlare.
Ma no! No, le parole mi fanno orrore.
Odio le parole. Le odio da quando son salita su quella nave, al ritorno da Troia, ripresa con la forza da quell’uomo che riconoscevo a malapena.
Là sulla nave, mentre Eolo mi schiaffeggiava la faccia, ho risentito tutte le parole dette nella mia vita: le promesse, i giuramenti d’amore, le speranze raccontate, i voti gridati, le suppliche formulate a mezza voce.
Parole che il tempo ha eroso, che gli anni hanno impietosamente smentito, che la vita ha trasformato in menzogne o in utopie risibili… condannate a morte già sul nascere.
Tutte quelle parole! Quelle parole che avevo mormorato, calde e appassionate a Meneleao.
Le stesse parole che poi ho ripetuto a Paride.
Tutte quelle parole…
Ho deciso di uscire da questo gioco. Mi rifiuto di mandare le mie parole, messaggeri loquaci, nel mondo, agli altri… tanto lo so che il tempo e la vita le tramuteranno una per una, in bugie.
Non parlo. Non parlerò.
Il mutismo è una forma di suprema neutralità.
Sospendo il commercio col mondo.
Una persona muta sta tra l’uomo e le cose. E’ un confine.
Vivo in una sfera di luce e di profumi, perché il sole, o i fiori o il cielo trasparente sono i figli del Dio Muto che intendo servire.
Guardo Menelao passeggiare nel giardino dei mirti, passare furtivo tra le colonne della reggia.
Vorrei gridargli (se avessi ancora fede nelle parole) quella verità che lui sta inseguendo. Potrei, sì… potrei salvarlo da quella sua peripezia mortale, da quel suo funambolismo mentale, da quel suo monologo immaginario che lo sta tramutando in una macchina per pensare. Una statua ragionante.
Ti vorrei dire, Menelao, che la mia fuga con Paride è stata il solo modo - il solo modo! il più disperato! - per dichiararti la mia esistenza.
Già, perché tu Menelao, tu mi hai sostituita, fin dall’inizio, con un fantasma!
Gli uomini amano, nelle loro compagne, quello che da sempre inseguono e cercano in loro stessi.
Noi donne abbiamo una sola, vera rivale: l’immagine di noi stesse che il nostro uomo si è costruito e con la quale aspira a sostituirci con inconsapevole tenacia!
Il mio adulterio è stato solo la conseguenza dell’adulterio consumato da te, Menelao, con il mio fantasma!
Sentivo crescere il tuo amore, il tuo consenso, il tuo desiderio… ma non per me. Per quell’altra.
Quella con cui tu volevi vivere, una creatura della tua immaginazione, astrale, perfetta, sempre più estranea – estranea – a me, alla Elena reale.
E sentivo, vedevo il tuo odio verso di me, urgente e cupo, perché io, Elena, distruggevo con la mia realtà l’immagine sognata, e desiderata.
E’ stato spaventoso ciò che ho sentito dentro di me.
La Gelosia.
Gelosa di me stessa. Gelosa del mio essere virtuale, che gli altri, no, che l’uomo amato, ti impone.
E dal momento che per quella Elena tanto perfetta l’assoluta virtù era la fedeltà, io ho messo tra noi due… Paride.
Sono fuggita da te, Menelao, per non essere l’altra.
Non avevo previsto, però, la micidiale egemonia del sogno.
Non avrei mai immaginato che tu, Menelao avresti consumato la tua vita, dopo, per conciliare l’Elena ideale con me, la fuggiasca, l’adultera, per ricomporre le due parti in unità.
Era te stesso, era te stesso, Menelao, che hai cercato senza tregua in me. Era te stesso, non me, che sei venuto a cercare fin nel cuore di Troia, tra sangue e lacrime, carri incendiati e cadaveri da calpestare.
Capisco, ora, in questo preciso istante, lucidamente, come un raggio di sole che penetra nel sogno oscuro e ferisce gli occhi, che il mio odio per le parole mi ha riportata a te, Menelao.
Questo mio silenzio collabora alla costruzione di quel fantasma di me, in quell’altra in cui, ora senza parole, mi sto calando.
Non più il mio silenzio, no…
Dopo il silenzio, l’assenza.
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