venerdì 15 gennaio 2010

Una nuova Polaroid firmata Marco Franceschini

L’odore della gomma

Non so voi, ma io, quand’ero piccolo, apprezzavo molto l’odore della gomma.
Era buono, all’inizio dell’anno scolastico, il profumo della nuova gomma azzurra, dura, e tenera, rossa, che avevo nell’astuccio per cancellare inchiostro e matita. E anche l’astuccio non era niente male, anch’esso profumato dal legno delle matite colorate, dalle mine, dalla stoffa del nettapennini…
Ma era buono anche l’odore del tubicino flessibile, color mattone, con la quale mio padre imbottigliava il Cabernet, nella piccola cantina del palazzo di periferia, ingombra di bici e vecchie casse, ciucciando con la “ladra” – così la chiamava, lui – il prezioso liquido scurissimo, che poi gorgogliava nel vetro verde scuro delle bordolesi… Non male anche il Cabernet, peraltro, come profumo, ma da adulti, meno amichevole, più austero e alcolico.
La “ladra” era una lunga gomma tubolare liscia, me la ricordo bene, un po’ parente… delle camere d’aria della mia bicicletta. Con il tempo e l’uso si era un po’ screpolata, ma ci ha servito per molti anni e molte damigiane di buon vino nero.
Ma l’odore migliore, in fatto di gomma, mi è sempre sembrato quello dei pneumatici. Dapprima quelli bianchi, della mia bicicletta, di marca “Superga”, me lo ricordo bene, e poi i “Ceat” della 1100 Fiat di papà, neri e molto “professionali”, loro che d’inverno lasciavano il posto ai “da neve”, dal battistrada zigzagante e “drammatico”, foriero di avventure sulle Dolomiti. Papà ci doveva andare per lavoro e la 1100 D non è che fosse un prodigio, sulla neve, meglio la molto più costosa Lancia Fulvia, oppure le esotiche Citroen. Ma lui le altre, le… non-Fiat, non le prendeva neppure in considerazione, o quasi. Il quasi era riferito alla Giulia dell’Alfa Romeo, ma questa è un’altra storia.
La gomma, insomma, ha sempre emanato un buon odore, un po’ come l’albero di Natale, oppure le assi di pino verniciato di fresco con le quali mi trovavo a convivere per un mese, al mare, in bungalow, sull’Adriatico veneto. Magnifiche assi profumate, verniciate tutti gli anni con uno strato giallo, appiccicoso per mesi, mai veramente asciutto. Buono anche l’odore della pineta, che lasciava poi spazio infinito alla sabbia e poi al mare. Inimitabile. Come le vongole, del resto.
Le gomme però conservavano sempre, anche con il passare degli anni, quel certo non so che. I papà le sostituivano, ne parlavano tra loro, c’erano le “bassa pressione”, il “cinturato”, le “ricoperte”. Ricoperte, come il gelato… Ridicolo! Le gomme erano roba seria, erano il “contatto”, il tramite tra volante e strada, oppure, per dirla alla Niki Lauda, tra il sedere e la pista. Sì, perché Lauda diceva che “si g-vida con kulo”, intendendo dire che la sua parte più sensibile, per capire la monoposto formula 1, era proprio quella sua parte del corpo. E secondo me aveva ragione, come potrei, da motociclista, non esserlo?!
E l’azzurro – può essere, un profumo, colorato? – aroma delle gommone delle Abarth 1000 alla Trento_Bondone, quando – appunto – sgommavano in curva, nel controsterzo? E quello acre delle Lotus Cortina a Monza, all’uscita della Variante Ascari? Difficile spiegare, a chi non c’era…

Oggi il mio profumo preferito, in fatto di gomma, è quello delle Pirelli Diablo: quando il mio gommista le monta, nuove nuove, ben equilibrate, sulla mia motona. Diablo… Diablo Rosso… Profumo di zolfo?! Mah!

Marco Franceschini

Nessun commento: