sabato 6 marzo 2010

Belle con l’anima


Può una fotografia scatenare un’infinità di polemiche? Certamente si, soprattutto se essa diviene un simbolo per una nazione.
La storica foto che vedete qui sopra fu scattata dal fotografo americano Joe Rosenthal il 23 febbraio 1945 sulla cima del vulcano Suribachi sull’isola di Ivo Jima, nell’Oceano Pacifico. Essa ritrae sei marines mentre issano la bandiera dopo la conquista della montagna. Divenne uno dei simboli della vittoriosa controffensiva degli Stati Uniti d’America nella guerra scatenata dal Giappone con l’attacco a sorpresa contro la flotta americana ancorata a Pearl Harbour, nelle Hawaii, il 7 dicembre 1941.
Secondo alcuni la fotografia è una sorta di falso, in quanto non fu scattata al momento del posizionamento della bandiera sull’altura appena conquistata, ma più tardi, con i marines che posano per il fotografo. Anche i protagonisti della posa di questa bandiera sono quindi diversi da quelli che effettivamente piantarono il vessillo originale.
Ora, senza addentrarci nella selva di recriminazioni collegate all’episodio, è possibile dire che i critici hanno delle ragioni e che la foto non rappresenta effettivamente il momento della conquista del Suribachi. Questo però è sufficiente per dire che la foto sia un falso?
Per prima cosa occorre dire che la foto non rappresenta la conquista dell’isola, ma piuttosto l’inizio della conquista. La battaglia di Ivo Jima iniziò, infatti, il 19 febbraio e terminò il 26 marzo, oltre un mese dopo quel 23 febbraio in cui la foto fu realizzata.
I marines ebbero l’ordine di segnalare la conquista dell’altura, di rilevante importanza tattica, posizionando una bandiera. Così fecero, dopo feroci combattimenti contro i giapponesi, ma presto ci si rese conto che la bandiera era troppo piccola e non era visibile, così si decise di sostituirla, nello stesso giorno con una più grande, quella ritratta nella foto, per l’appunto. Rosenthal ritrasse il momento della posa della seconda bandiera e poté certamente approfittare della relativa calma della posizione per scattare la foto. Occorre precisare che quelli nella foto non erano modelli convocati per l’occasione. Tre dei sei marines ritratti nella foto furono infatti uccisi nei sanguinosissimi combattimenti svoltisi nei giorni seguenti.
Durante la battaglia furono uccisi circa 7.000 marines, cui vanno assommati i feriti e i dispersi, per un totale di circa 20.000 uomini, pari ad un terzo di quelli impiegati nell’attacco. La guarnigione giapponese, forte di 21.500 uomini, fu letteralmente annientata e vennero fatti solo 216 prigionieri. La violenza dei combattimenti e l’ostinazione della resistenza giapponese, fu uno degli elementi che contriburono alla decisione americana di sganciare le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, ponendo fine alla guerra.
Pertanto, per quanto la foto non rappresenti il momento effettivo della conquista del Suribachi, essa rappresenta ugualmente lo sforzo di un’intera nazione per la vittoria in una guerra feroce e sanguinosa.
In altri termini potremmo dire che essa non ritrae la verità descrittiva dei fatti, ma la verità profonda di quei fatti, in qualunque modo essi si siano svolti. In altri termini ne ha immortalato l’anima. Cos’è infatti l’anima se non la verità profonda di una storia? In ragione di questa anche il peggiore peccatore può trovare il perdono, mentre l’ipocrita apparentemente perfetto finisce dannato per l’aridità ed il marciume che albergano nel suo cuore.
La fotografia, quando è arte, ha proprio questa caratteristica. Riuscire a ritrarre l’anima delle cose che inquadra, siano esse persone, luoghi o eventi.
Quando gli esploratori occidentali portarono la fotografia tra le popolazioni degli altri continenti, si sentirono dire che queste avevano paura che la loro anima potesse essere rubata. Da positivisti quali erano, gli esploratori classificavano queste cose tra le sciocche superstizioni. Probabilmente, invece, gli uomini più vicini alla natura avvertivano istintivamente la magia della macchina fotografica, descrivendola nel loro poeticissimo linguaggio.
Questo spiega la ragione di un’altra, inquietante, credenza. L’immagine dei vampiri, ma anche degli stregoni che hanno venduto l’anima al diavolo, non rimarrebbe impressa nelle fotografie. Pertanto, se dopo aver scattato una fotografia a qualcuno, vi accorgeste che la sua immagine non appare, potreste capire chi sia l’essere con cui, malauguratamente, avete a che fare…

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