venerdì 18 marzo 2011

QUELLA VOLTA CHE GARIBALDI COMBATTE' I SARACENI


si parla, e si scrive, tanto dell'Unità d'Italia e del 150 anniversario. A questo proposito vi racconto una mia esperienza estiva. Per sorridere delle nostre lacune. Piccole, ma profonde...

E come ha dimostrato la recentissima intervista delle Iene ai nostri parlamentari, sono anche molto diffuse.



GARIBALDI, I SARACENI E L’ALTRO MONDO

Ieri, di ritorno dalla mia vacanza trascorsa a Recco, nel treno che mi porterà a Genova trovo posto accanto a un uomo e suo figlio, un bambino di circa dieci anni. Il padre ha una voce tonante, dallo spiccato accento genovese. Il bambino ha una faccia simpatica, tonda e spruzzata di lentiggini. Conosce a memoria il nome delle stazioni che ci attendono: Pieve Ligure, Bogliasco, Genova Nervi…
Il treno si ferma a Quarto dei Mille. Il padre sentenzia che questo “è il paese di Garibaldi”.
Il bimbo chiede spiegazioni e io, figlia di uno studioso di Storia Militare e di biografie dei Grandi Personaggi, chiudo gli occhi e mi appresto ad ascoltare una storia affascinante che mi riporta all’infanzia.
Vedi che si chiama “dei Mille”, gli dice, perché Garibaldi è partito da qui con la nave insieme con altri mille uomini.
A far che? Domanda il piccolo.
Il Sapere del padre però è labile: beh… è andato per mare… per combattere.
Combattere chi? – il bambino è veloce nel riflettere sulla propria domanda e si dà subito la risposta: i Saraceni! È andato a combattere i Saraceni, vero papà?
Vero -
risponde quello, sollevato.
E com’è finita? Hanno vinto? Il bimbo è curioso, e a questo punto lo sono anche io.
Eh mica tanto, li hanno ammazzati, c’è anche la famosa canzone “Eran mille giovani e forti e sono morti”.
Mi scappano un singhiozzo e una lacrima. Il bimbo mi guarda di sottecchi, il padre mantiene il cipiglio, sicuro di sé. Mi scende un’altra lacrima, vorrei giustificarmi dicendo che questa infausta sorte garibaldina mi commuove sempre. E pensare che io ero rimasta alla gamba ferita…
Fingo una crisi allergica, mentre penso che se fosse andata davvero così, Quarto sarebbe rimasto soltanto il paese prima di Quinto, e La Spigolatrice di Sapri sarebbe stata molto, molto più lunga. Almeno tre volte: trecento per tre fa novecento, il centinaio che avanza lo mandiamo in licenza poetica. La matematica non è un’opinione, mentre la Storia sì, a quanto pare.
Altro che Spoon River! De Andrè avrebbe cantato Mercantini, e ci sarebbero voluti almeno dieci album.
Ma il padre non demorde, e declama lo slogan: Ah, Garibaldi l’Eroe dei due mondi!
Perché dei due mondi, papà?

La spiegazione, un po’ esitante, arriva: beh, Garibaldi girava, andava per mare già prima di partire da Quarto… in fondo era un navigatore (stessa accademia di Colombo, immagino)
Sì - incalza il bambino - sarà stato in Africa perché era lì che c’erano i Saraceni…
Ma l’uomo ha un’illuminazione, e attacca: devi sapere che una volta, ai suoi tempi, l’Italia non era come adesso. Era divisa in due, Regno del Nord e Regno del Sud. E il Sud era diversissimo dal Nord, praticamente un altro mondo. E Garibaldi è andato anche al Sud, e allora si dice “i due mondi”.
Il bimbo sembra soddisfatto. Nessun accenno alle camicie rosse, a Cavour, all’Obbedisco. Giustamente, perché Vittorio Emanuele II ai tempi dei Saraceni mica esisteva.
Arriviamo al capolinea, Genova Principe. Ed ecco puntuale la domanda: perché “Principe”, papà?
Vorrei tanto sentire la risposta, ma devo correre a prendere la coincidenza per Milano.
Peccato, so di essermi persa la fantastica storia di Emanuele Filiberto, al quale i genovesi dedicarono la stazione dopo che vinse il Festival di Sanremo, calando a passo di danza dal Regno Svizzero di Nord-Nord, e contro il quale nulla poté il Feroce Saladino.

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