sabato 21 maggio 2011

I ritardi della Bottega del mistero


L’invenzione del ritardo

Per essere ufficialmente in ritardo è necessario che chi ci aspetta abbia un orologio o un altro strumento per misurare il tempo. Vi sfidiamo infatti a dire che qualcuno è in ritardo guardando il sole. A meno che il nostro ritardatario non arrivi dopo il tramonto, chiaro. Quindi, è ora di dire che la colpa dei nostri ritardi è dell’orologio!
L’uomo ha inventato molti modi di misurare il tempo. Il sistema più semplice e antico fu inventato dai Cinesi 5000 anni fa, un semplice palo verticale. Osservando l’ombra sul terreno era possibile misurare il passare del tempo.

Oltre alle ore del giorno vennero inventati anche sistemi per calcolare il trascorrere dei giorni nel corso dell’anno. Era infatti necessario conoscere con esattezza i periodi dell’anno in cui procedere alla semina. Ed il tutto era regolato da complessi rituali.
Per farlo vennero costruiti sistemi straordinari. Uno di questi era, secondo molti studiosi,  quello che si trova a Stonehenge, in Inghilterra. Tra i 4500 e 4000 anni fa una serie di pietre di dimensioni colossali venne trasportata per oltre 200 km per costruire una complicata serie di allineamenti e circoli. Osservando il sorgere del sole e di determinate stelle era possibile determinare con esattezza il giorno.

La fama di questo luogo fu grande nell’antichità. Secondo una leggenda esso sarebbe addirittura legato alla figura di Artù e del mago Merlino.
Merlino avrebbe fatto trasportare il complesso in Inghilterra dall’Irlanda, dove era stato costruito dai giganti con pietre portate dall’Africa. Uther Pendragon, il padre di Artù, sarebbe sepolto proprio all’interno del circolo di pietre.

Pur senza raggiungere la complessità di Stonehenge, su molti antichi edifici del nostro territorio si vedono delle meridiane.
Apparentemente sono realizzazioni semplici, in realtà sono sistemi di misurazione estremamente complessi. Per realizzarli è infatti necessario conoscere le coordinate e altri dati riferiti al luogo specifico. E anche il muro deve essere perfettamente a piombo.

Una cosa interessante è che le ore, quando erano misurate con le meridiane, non erano sempre uguali.
In genere si usava una suddivisione del tempo in cui l'ora era la dodicesima parte del giorno, dall'alba al tramonto. Perciò l’ora era più lunga d'estate e più corta d'inverno. Inoltre, a causa della rotazione terrestre, il mezzogiorno, per fare un esempio, arrivava a Milano prima che a Torino.

Ovviamente in un’epoca in cui ci si muoveva a piedi o a cavallo nessuno si accorgeva del problema. Ma quando si cominciò a viaggiare con navi più veloci o, peggio ancora coi treni, il problema divenne sempre più evidente.
Poiché gli orari ferroviari dovevano essere omogenei per tutta la tratta si adottò un sistema orario basato sull’orologio meccanico e sul sistema dei fusi orari, che fu introdotto in America settentrionale dal 1883.

Quando si parla di orologi si pensa immediatamente alla Svizzera. Eppure c’è una storia di orologi legata alla nostra zona.
Dalla fine dell’Ottocento e per circa 80 anni ad Arona si sviluppò una fiorente attività di lavorazione di pietre preziose. Le “pietrine” erano utilizzate per i meccanismi di precisione degli orologi, perché per la loro durezza resistevano all’usura meglio del metallo. Negli anni Sessanta del secolo scorso erano oltre 600 le persone impiegate in questa lavorazione.

 
Samarcanda

Ci sono ritardi che ci possono cambiare la vita e ci sono appuntamenti con il destino a cui non è possibile arrivare in ritardo. Ci sono città e luoghi che per la loro posizione sembrano destinate ad essere luogo di incontri, di appuntamenti e, conseguentemente, di ritardi. Il nome di queste città è risuonato per secoli nei racconti dei viaggiatori.
Samarcanda nel terzo secolo prima di Cristo era una città fiorente, che da secoli controllava una via commerciale importantissima. Situata nell’attuale Uzbekistan, era una sosta obbligata per le carovane che dal medio oriente muovevano verso oriente. E che a Samarcanda si incontravano con quelle che partivano da un impero lontano e ricchissimo, che i suoi abitanti chiamavano “La terra di mezzo”.

Non stiamo parlando della terra degli Hobbit e degli altri personaggi del “Signore degli anelli”, il celebre romanzo fantasy di Tolkien, ma di un regno reale, la Cina.
A quel tempo, secoli prima che alcuni monaci cristiani riuscissero a rubarne il segreto, la Cina era l’unico paese al mondo a conoscere il modo di produrre la seta. E i suoi tessuti, portati a dorso di cammello per migliaia di chilometri, arrivavano fino alla corte degli imperatori romani.

Nell’anno 329 prima di Cristo, tuttavia, Roma era ancora una piccola città la cui influenza era limitata alla parte centrale dell’Italia. In quell’anno, tuttavia, Maracanda aprì le porte e si arrese senza combattere ad un altro conquistatore occidentale.
Alessandro era il re di un piccolo regno semibarbarico ai confini settentrionali della Grecia. Aveva ventisei anni, era stato allievo del grande filosofo Aristotele ed era già una leggenda per i suoi contemporanei. Con poche migliaia di soldati aveva sbaragliato l’immenso esercito del Re dei Re, che dalla Persia (l’attuale Iran) comandava sul più vasto impero di quell’epoca. Senza mai fermarsi, Alessandro in dieci anni conquistò un immenso impero che andava dall’Egitto all’India, diffondendo ovunque la cultura greca.

Alessandro, che era sopravvissuto a mille pericoli, attorno ai trent’anni divenne molto sospettoso e cominciò a consultare freneticamente gli oracoli per conoscere il suo destino.
Si circondò di indovini e di sedicenti maghi che gli assicuravano una vita lunga e felice. E lo convincevano di essere figlio del dio Zeus, unitosi a sua madre sotto forma di aquila. Invece, dopo una cena in cui ancora una volta aveva ecceduto col vino, mori improvvisamente a Babilonia, pochi giorni dopo il suo ingresso nella città, a soli 30 anni, mentre progettava nuove conquiste.

Di un appuntamento con il destino parla anche una canzone che nel 1977 fece conoscere al grande pubblico il cantautore Roberto Vecchioni, segnando l’inizio di una carriera che dura tutt’ora e che ha fatto del cantautore uno dei più importanti della musica italiana.
Vecchioni stesso ha raccontato che la canzone nacque a seguito della morte di suo padre, portato via da un destino beffardo. L’ispirazione venne da un’antica favola orientale presente nella tradizione islamica ed ebraica, trovata nel libro “Appuntamento a Samara”.  Si narra di un soldato che, tornato nella capitale alla fine della guerra, si unisce ai festeggiamenti. Proprio allora, però, tra la folla vede una “nera signora” che lo guarda con occhi cattivi. E comprendendo che della Morte si tratta, decide di fuggirla. Per questo implora sovrano di dargli un cavallo veloce che lo possa portare nella lontana città di Samarcanda dove, pensa, certamente sarà al sicuro. Ma le cose andranno un po’ diversamente.

Roberto Vecchioni, Samarcanda. 

La foto, che è stata consegnata puntualmente, è una cortesia di ELE

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