lunedì 23 maggio 2011

Racconto: Ritardi

Immaginate la situazione: è sera; lui e lei, giovani innamorati, si sono dati appuntamento in centro, sotto i portici. Lei è in ritardo, e lui magari è arrivato con qualche minuto di anticipo. Il resto è nelle parole di Marco Franceschini.



Talvolta era così dolce, aspettarla, che speravo perfino tardasse ad arrivare. Era così bella, lei, che mi piaceva, mentre l'attesa si mangiava il grande anticipo con il quale ero giunto al luogo dell'appuntamento, immaginare con quale cappotto sarebbe arrivata: quello rosso, visibile da lontano, sotto il quale si muovevano svelti gli stivali neri senza tacco, oppure quello blu, dal grande collo e la cintura annodata con finta noncuranza?
Il ritardo era pur sempre emozione, immaginazione, dubbio. Adrenalina? E se si prolungava era rancore un po' stupido, che poi si stemperava in un tepore che riscaldava i portici gelidi, vedendola arrivare. E sorridere. La città tutta intorno a lei.
Come la Volpe con il Piccolo Principe, anch'io ero stato "addomesticato"; e come la Volpe avevo avvertito lei, la mia Principessa, che in quanto da lei educato all'amicizia, all'amore, al suo eventuale ritardo io ne avrei sofferto.
Ma nonostante questo, lei talvolta tardava davvero ed io, soffrendo, un po' mi beavo di quell'attesa così piena, ricca di aspettative, di serata, di luci vivaci sotto i portici freddi, di notte blu sotto gialli lampioni del centro storico. Di rumore dei suoi passi atteso e poi tradito... Verrà di lì? Allora... No, arriverà dalla piazza, la vedrò da lontano, con il suo cappello largo, eccentrico... No, scenderà dall’autobus alla fermata davanti alla fontana, e dietro la pietra bianca dei tritoni, orfani d’acqua per il gelo, lei avrebbe mostrato il volto pallido sotto i capelli rosso Tiziano, le labbra di quel colore sapientemente finto-naturale, la sciarpa leggera annodata come lei sa fare…
Più che una donna era un foulard, si sarebbe potuto dire ricordando una canzone di Paolo Conte. Una donna che sintetizzava chic e snobismo… Anche per questo l’amavo.
Oggi lei è lontana, nel tempo e nello spazio. È di un altro o forse soltanto assieme ad un altro. Ed io ricordo il rosso scuro dei suoi capelli nella sera del centro storico, il pallore della sua pelle tra la nappa verde scuro del giaccone o dentro il caldo cappotto blu, le sciarpe ruggine, azzurre, vinaccia… Ma quel che più rammento e più mi fa soffrire è la mancanza della sua… assenza, la mancanza di attesa, dell’attesa di lei. Sotto i portici gelidi, che ora vedono soltanto la luce delle vetrine.
Ma io non sono troppo triste, perché l’ho amata. Anche aspettandola. Lei ed i suoi colori.




Scritto da Marco Franceschini

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