martedì 6 settembre 2011

Ancora un po' di pazienza



Siamo in Onda sta per tornare. Ancora un po' di pazienza e saremo di nuovo on air. Siamo già al lavoro per preparare la nuova stagione, con tante novità e sorprese. E c'è già una data: sabato 15 ottobre.

Giusto per farvi venire un po' di acquolina, eccovi un piccolo assaggio. Un'anticipazione, un regalo per voi che ci state aspettando. È un breve racconto scritto da Marco Franceschini, uno dei nostri autori. A presto!


Roba da matti


Roba da matti. La moto sta accelerando come un razzo lungo il lago. È una catapulta, un elastico gigantesco, invisibile, che ci tira in avanti.
La provinciale costeggia la riva del lago ed io, che c’ho sedici anni e di moto ho guidato solo qualche ciclomotore e un po’ di 125, sono sul sellino posteriore di una 750. Ma mica “una” 750, che già sarebbe molto, ma la 750 più potente del mondo. La più instabile, la peggio frenata, quella con le sospensioni più flaccide. La più bella di tutte: la Kawasaki tre cilindri a due tempi, un aereo senza le ali. Non ne hanno fatte più, così, dopo. Per fortuna…
La sta guidando mio cugino, che non c’ha l’età per portarla. Ce l’ha prestata Luca, che non ha l’età per portarla. Che l’ha fregata a suo zio, che se lo sa ci ammazza. Se non lo facciamo prima noi, anelli matti di una folle catena. E siamo pure senza casco, che mica è obbligatorio.
Con l’accelerazione furiosa l’aria di luglio si fa prima sferzante e poi, per la prima volta in vita mia, la sento liquida, l’aria... E’ ormai un fluido, come quello nel quale nuotano gli aeroplani, gli uccelli. E’ densa e dietro la schiena di Massimo c’è soltanto una piccola nicchia con minore turbolenza, dove i riccioli invisibili del vento sembrano sfumare un poco, ma come mi muovo da quel riparo la densità ed il rombo del vento della corsa mi schiacciano le guance, mi fanno lacrimare e mi pare di essere un aviatore, su un caccia di quelli con l’abitacolo senza riparo, come nella prima guerra mondiale.
I tre scarichi, asimmetrici, demoniaci, fumano azzurro e lasciano come scritto nell’aria, dietro di noi, quell’inconfondibile ringhio metallico che chi c’era, in quegli anni ’70, non dimenticherà mai. Un qualche cosa di assurdo, quel suono: incongruente per una grossa moto, incompiuto meccanicamente, espressione però di un’incontenibile potenza, crepitìo di ciclomotore divenuto titano. Anzi, tre ciclomotori, giganteschi, come tutto un liceo che, smarmittato, al suono del campanello dell’una va a casa… Come se contemporaneamente tutti avessero messo in moto Vespe Primavera, Morini e KTM, creando per qualche attimo una moto soltanto, unica. Tutti dentro un motore che canta un canto mai sentito, quasi al limite della stonatura, eppure perfetto, concluso, come Lucio Battisti ne “Il mio canto libero”.
Non veniva, quel tre cilindri, dal mondo delle dalle simmetrie inglesi, tedesche o italiane, veniva dal Giappone; ma pure la Honda sette e mezzo era giapponese ed era più che equilibrata, esteticamente simmetrica, con quei quattro scarichi due per parte, quell’aria per bene. Perfetta. Non è quella la chiave d’interpretazione del Kawasaki tre cilindri.
Il Kawa “settemezzo” viene dall’aromatico mondo alchemico della miscela, dal terribile pianeta del grippaggio, dall’universo estremo dei motori “piccoli”, che nel suo caso, però, sono mutati in nuove mostruose sembianze. Nessuna due ruote in commercio sul pianeta può rivaleggiare con il tre cilindri 750 in accelerazione. Tenerlo, magari con la ruota giù, è però un’altra cosa. Far le curve, o meglio convincerlo a fargliele fare, poi, ancor peggio.
Il mostro marrone metallizzato con le fiancatine arancio ora fila con il verde dei prati sulla sinistra ed il blu del lago sulla destra. Io comincio ad avere paura ed allora mi sporgo sopra la spalla di Massimo e leggo sul tachimetro una cosa mai vista, se non con papà, soltanto in autostrada, con la 124 della Fiat: 130 chilometri all’ora.
Ma è ora di far qualche cosa, forse c’è bisogno di un – chiamiamolo – preallarme ed allora urlo un “porcamiseria!”, così, in un tentativo non troppo disonorevole di far capire a Massimo che secondo me andiamo un po’ forte. Troppo. Infatti arriva una curva e Massimo a metà corregge l’inclinazione, segmentando un po’, perché arriva un furgone e la traiettoria non è proprio l’ideale... Ci sfreccia a lato, il furgone, tutto sommato nemmeno troppo vicino. Mi spavento, però, o forse prendo definitivamente consapevolezza, ed allora la faccio emergere, la tiro fuori, ‘sta ragione e gli dico “Torniamo!”.
E lui rallenta e poi piano piano inverte il senso di marcia e a “soli” 120 mi riporta al bar, dove tutti ci aspettano. E restituisce quella specie di “Apollo 3” a Luca. Che continua a non avere la patente “adatta” e che lo restituirà, per così dire, allo zio… Prima che lo zio se ne accorga, che l’ha preso lui, il Kawa.
Ed a pensarci adesso non so se ridere o ringraziare Dio, se c’è. Comunque, grato, lo sono. Comunque e sempre, ché Dio, sempre se c’è, delle volte va in motocicletta pure lui.

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