lunedì 5 dicembre 2011

Racconto: San Sèrvolo, 1872


Quella che vi stiamo per raccontare è una storia vera: vero é il protagonista; tremendamente vero è il luogo dov’è ambientata, il manicomio di San Servolo in provincia di Venezia, nel 1872 per la precisione; e vera è quella sensazione di inquietudine che anche voi proverete nel leggerla.


La camicia di forza lo teneva stretto come quell’abbraccio di madre forse troppe volte mancatogli. Sentiva il freddo del metallo dei bottoni che imprimevano la loro forma sulla sua pelle, finché lentamente non ne conquistavano la temperatura. 
Era la prima volta, quella, in cui era costretto ad indossarla. Prima d’allora i medici gli avevano imposto al massimo le manopole. Quei bei guanti di cuoio grinzoso che gli tenevano bloccati le mani ed i polsi alla vita con un sistema di anelli e catene. Invece, quel mattino di maggio, era stato così bravo da meritarsi la camicia; si era eccitato, come dicevano loro, oltre il solito limite. Quando l’infermiera aveva spinto, una alla volta, le sue braccia nell’infinito tunnel di spessa canapa delle maniche, si era sentito soddisfatto di sé ed un sorriso fiero era comparso sul suo volto. Aveva molte volte sentito dire che gli era stata diagnosticata una lipemania con stupore, per un amore contrastato e deluso. L’aveva sempre considerata un’esagerazione, la storia era molto più semplice: dal momento che confidarsi con le persone sbagliate gli aveva portato così tanto dolore, aveva deciso di non parlare più ad alcuno. Nonostante continuasse a svolgere bene il suo lavoro di ingegnere a Mantova, la famiglia l’aveva costretto a trasferirsi in quel luogo che a Venezia tutti chiamavano manicomio. Non amava quella parola, lo faceva sentire diverso, in gabbia.

Una strana donna, che gli sembrava avere dei tratti conosciuti, lo guardava al di là di un vetro: annuiva tristemente alle parole del medico.
“Paziente 982, Ernesto Cosimi, anni 28. Pronto per la terza applicazione di corrente elettrica e la quinta trasfusione diretta di sangue arterioso.”
All’udire quella voce era sempre rimasto inerme, capo chino: dopotutto non aveva nulla da dire. D’improvviso si ricordò, invece, di quanto quella mattina era stato divertente rovesciare l’intero carrello della colazione.
Fu così che urlò fino a soffocare.
Poi di scatto girò la testa verso la donna che ancora lo fissava: incredula,  piangeva di gioia.


San Sèrvolo, 1872 di Marta RIzzato

Nessun commento: