domenica 18 marzo 2012

Racconto: Brado rimpianto di redini in prosa d'endecasillabi, novenari e settenari


Non è solo il mio ricordo: quel giorno era calma la piana smeraldina, ingioiellata di bianca silene, di tenero trifoglio e ricca ortica; quello era il tempo del sole di maggio, quando il mio crine danzava illibato librandosi nel vento giovanile, e i miei zoccoli scalzi cadenzavano perdute danze senza spettatori, ché bisogno del pubblico non c'è nei primi giorni della nostra vita: basta il solo silenzio della valle viva d'inconsapevole mio vivere.
Quell'autarchico essere sereno non era che illusione di Morfeo, folle giullare delle nostre anime.

Mi misero il morso. Armati della sicumera barbarica vennero nei prati color oro; troppo ciechi per vivere l'armonica, inconscia Natura, stregati da troppa ragione, gli uomini vuoti bruciarono le erbe di campo che più torneranno a brillare all'ombra di Selene, l'astro notturno, sogno palpabile di chi conosce il solo brado vivere.
E ridendo m'incatenarono: le redini sono la pelle che in anni m'ha stretto al padrone, rendendo il galoppo prigione; che sarei senza la biada recatami anche stamane dai servi dell'uomo che servo? Non più l'adiaccio, ma una stalla per me, il destriero, fidato compagno d'infinite guerre, sprone della furia assassina di schiere vive per la morte.
Il ribrezzo. Cresce quest'odio, tanto da oscurare le lance che infransi al galoppo, e quei crani che ancora scricchiolano sotto
gli zoccoli che mi ferrarono, cresce l'odio per il servaggio cui fui per anni incatenato.

Eppure colgo un sibilo, specie la notte muta: dormo solo sul fianco, riverso, muto e spento; quanto distano i giorni che ho dissotterrato dalla fosca memoria, come ossa vermiglie che serbano il dolore nei nervi pur spirati.
Giaccio qui nella paglia, e m'han tolto il morso; sì, vissi nel livore dei legacci di cuoio, del gozzo stretto in cinghie, nella stalla galera.
E la valle serena, e Selene mia luna, e il libero ricordo forse son solo sogno di queste notti mute; forse son sempre stato incatenato all'uomo.
Ma allora almeno ero, giovane, triste schiavo.
Ora, vecchio, scordato, giaccio per il macello e sogno ancora il morso.
Perdute son le redini segno di gioventù.



Brado rimpianto di redini in prosa d'endecasillabi, novenari e settenari
Scritto da Andrea Collivignarelli e contenuto anche tra le pagine della rivista letteraria Arabica Fenice.

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