sabato 7 giugno 2008

Perry Zona e la storia del testimone silenzioso.


Continua la collaborazione con la nostra autrice che regala preziosi momenti alla nostra lettura. A volte l'attualità evidenzia le grandi imprese, a volte invece imbarazzanti e inclassificabili percorsi.

IL TESTIMONE
Mi sono svegliato questa mattina come tutte le altre, ho stiracchiato i rami, disteso le foglie, ho sgranchito le radici, ho sentito scricchiolare il mio tronco come se avesse preso una gran botta. Mi sono guardato intorno ed ho visto un gran trambusto, proprio sotto le mie fronde. Uomini in divisa srotolavano un telo bianco e rosso: un’estremità cingeva il mio tronco, mentre l’altra giungeva fino al lampione dall’altra parte della strada, sbarrata da persone in tuta arancione che gironzolavano con un metro in mano.
Aiutato dal vento, ho allungato un ramo fino alla spalla di uno di quegli uomini, che si è voltato verso di me ed ha cominciato ad osservare il mio tronco. Gli ho raccontato tutto.
La notte scorsa ero ancora sveglio,stavo chiacchierando con una civetta finché un cigolio metallico ha attirato la nostra attenzione. Una bicicletta procedeva lentamente lungo il marciapiede, una piccola luce precedeva il suo arrivo. L’uomo che la conduceva fischiettava allegramente, dondolandosi sul sellino; la ruota ha preso una buca e l’uomo
ha perso l’equilibrio, cadendo per metà tra il marciapiede e la strada, proprio davanti a me.
Nella caduta, il manubrio della bici si é stortato e l’uomo, dopo essersi rialzato, si è messo la ruota anteriore fra le gambe nell’intento di raddrizzarlo. Poi si è accorto di aver perso il borsello che teneva nel cestino della bici. Era rotolato in mezzo alla strada, proprio sotto il lampione, uno dei tanti spenti nella via
E’ stato in quel momento che un’ auto grigia è comparsa all’improvviso a velocità sostenuta. Subito dopo la curva, i suoi fari hanno accecato il buio e gli occhi di quell’uomo che, recuperato il suo prezioso oggetto, stava tornando alla bicicletta.
Ho sentito un urlo straziante accompagnato dallo stridere incalzante dei freni.
L’auto ha colpito in pieno sia l’uomo che la bicicletta, scaraventandoli a qualche metro di distanza come palline da golf verso l’ultima buca.
Poi ha fatto due giri su se stessa, ha urtato violentemente il mio tronco e si è capottata finendo sulla piazzola d’erba accanto.
Il clacson ha suonato per parecchi minuti, interminabili, mentre i fari erano ancora accesi rivolti verso la strada. Ho visto l’uomo immobile abbracciato al suo borsello, disteso supino sull’asfalto.
Dall’auto è uscito un giovane, barcollava con una bottiglia in mano e si teneva la testa sanguinante, poi ha seguito la luce dei fari giungendo fino all’uomo sul quale si è chinato per pochi istanti. L’ho visto zoppicare, ondeggiare, fuggire e scomparire nel buio.
Si sentiva ancora rumore di ferraglia, odore di fumo acre che usciva dal cofano e il cigolio di una ruota che continuava a girare, poi tutto è cessato e la notte è tornata tranquilla.
La mia amica civetta se ne era andata da un pezzo, spaventata dallo schianto, così ho piegato i rami e con le foglie mi sono massaggiato la botta inferta al mio tronco e mi sono addormentato, fino a quando non è sorto di nuovo il sole.
L’uomo in divisa aveva smesso di ascoltarmi. La bici era spostata sul ciglio della strada con entrambe le ruote piegate e, dal lembo di un lenzuolo bianco sull’asfalto, vedevo spuntare il borsello.
L’auto, caricata sul carro attrezzi, ha ripreso la sua strada lentamente, dimenticando alcuni pezzi di plastica sparsi qua e là.
Unico testimone: la mia corteccia. Sulla quale è ora inciso il solito cuore trafitto da una freccia tra due iniziali, ad indicare un legame perenne: M come la morte di un uomo e V come la vita rovinata per sempre di un giovane imprudente.

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