Un grazie speciale all'amico autore Federico di Leva che scrive una pagina amara del diario di tutti i giorni. Il suo racconto scuote le coscienze in un presente fatto di memorie e di attuale.
Vivevano nascosti in una soffitta e, durante il giorno, per non essere scoperti, dovevano restare immobili, cercando di non produrre alcun rumore, alcun suono, alcun bisbiglio. La piccola Anna viveva così, insieme alla sua famiglia: al sicuro dalla follia dei nazisti, in una sorta di vampirismo che la costringeva al silenzio durante il giorno, lasciandole la notte come unico spazio di vita. Se abbiamo notizia di questi orrori è grazie al diario che Anna ci ha lasciato: colmo d’un nero più nero del nero dell’inchiostro con il quale fu scritto...
L’unico mio rammarico è che, se vi è stato un tempo in cui le persone – leggendo della piccola Anna – si indignavano, adesso quel tempo è trascorso. E nessuno più si indigna. E nessuno più conosce il significato della parola “indignarsi”, perché parole e sentimenti troppo complessi paiono condannati a svanire, sotto la falce della tanto glorificata semplicità...
Rileggo il Diario di Anna Frank, resto in attesa del peggio e, di rado, accendo la televisione, temendo di poterci trovare dentro una famiglia di ebrei, ripresa ventiquattr’ore su ventiquattro, che vive di nascosto in una soffitta, in attesa di essere scoperta... o di essere eliminata. Eliminata dal gioco, o dal mondo... a quanto are questa differenza sta sempre più appassendo, esigua come il confine – sempre aperto – dei nostri teleschermi.
© Federico Di Leva
www.federicodileva.altervista.org
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