Ci sono luoghi dove si dice si riunissero le streghe. In quei luoghi, tuttavia, si possono fare incontrare creature molto più pericolose di una strega.
C’era un uomo di San Maurizio d’Opaglio che lavorava nelle cave di granito di Alzo. Le sue forti braccia picchiavano tutto il giorno sui cunei di ferro, per staccare lastre di pietra dagli immensi blocchi, strappati con le mine alla montagna.
Per andare al lavoro percorreva a piedi l’antica strada che passava tra i boschi, accanto alla cascata. Un luogo di precipizi e paludi, di quelli da attraversare rapidamente, con passo veloce e senza guardarsi troppo attorno.
Circolavano strane storie su quel posto. Si diceva che un tempo vi si radunassero le streghe, finché il Vescovo non aveva ordinato che fosse distrutta la pietra maledetta attorno a cui adoravano il demonio.
Eppure, nonostante l’esorcismo, il luogo conservava una fama sinistra. Si mormorava di strane presenze. Ombre che apparivano nella nebbia, urla disumane, strani animali che si manifestavano improvvisamente per scomparire nel bosco.
Uno in particolare aveva una terribile fama. Si sussurrava, infatti, che il luogo fosse infestato dal pericolosissimo Basilisco. Era un rettile dalla testa di gatto sormontata da una cresta rossa a corona, che lo faceva somigliare ad un gallo.
Una mano empia aveva forse deposto su un mucchio di letame un uovo di un vecchio gallo di sette anni e l’aveva fatto covare da un rospo. In una notte senza luna dall’uovo era strisciato fuori il Basilisco, il mostro che poteva ucciderti semplicemente fissandoti negli occhi…
Ma l’uomo non era tipo da ascoltare le sciocche superstizioni biascicate delle vecchie. Così, come sempre, se ne andava di buon passo verso Alzo, con gli scarponi chiodati ai piedi e un grosso bastone dalla punta di ferro in mano, fischiettando un’arrogante canzone.
Nei pressi della palude udì un fischio imprevisto e sinistro. Si voltò e vide ad un metro di distanza il Basilisco. Allora, senza perdere tempo e senza guardarlo negli occhi, alzò il bastone e lo colpì violentemente. Quindi si allontanò di corsa, troppo spaventato per voltarsi indietro.
Fu quello, forse, il suo errore. Il Basilisco non è mostro che possa essere ucciso con una bastonata, per quanto forte sia il colpo. Ferito, scivolò lentamente nella tana avvolgendosi nelle proprie spire. Nell’oscurità cominciò a covare il proprio risentimento. Perché per il Basilisco, come per tutti gli esseri della stirpe dei draghi, la vendetta è più di un dovere: è un destino.
Mentre nel suo corpo immobile la ferita rimarginava, la mente si accaniva senza tregua sull’immagine di colui che aveva osato colpirlo. Infine, esattamente un anno dopo, scivolò fuori e si mise in attesa tra le rocce.
Quella sera, come ogni sera prima di quella e nessuna in seguito, l’uomo ritornava a casa dal lavoro. Quando fu alla palude il Basilisco, con un solo dolorosissimo sguardo, gli strappò l’anima dal petto.
Per andare al lavoro percorreva a piedi l’antica strada che passava tra i boschi, accanto alla cascata. Un luogo di precipizi e paludi, di quelli da attraversare rapidamente, con passo veloce e senza guardarsi troppo attorno.
Circolavano strane storie su quel posto. Si diceva che un tempo vi si radunassero le streghe, finché il Vescovo non aveva ordinato che fosse distrutta la pietra maledetta attorno a cui adoravano il demonio.
Eppure, nonostante l’esorcismo, il luogo conservava una fama sinistra. Si mormorava di strane presenze. Ombre che apparivano nella nebbia, urla disumane, strani animali che si manifestavano improvvisamente per scomparire nel bosco.
Uno in particolare aveva una terribile fama. Si sussurrava, infatti, che il luogo fosse infestato dal pericolosissimo Basilisco. Era un rettile dalla testa di gatto sormontata da una cresta rossa a corona, che lo faceva somigliare ad un gallo.
Una mano empia aveva forse deposto su un mucchio di letame un uovo di un vecchio gallo di sette anni e l’aveva fatto covare da un rospo. In una notte senza luna dall’uovo era strisciato fuori il Basilisco, il mostro che poteva ucciderti semplicemente fissandoti negli occhi…
Ma l’uomo non era tipo da ascoltare le sciocche superstizioni biascicate delle vecchie. Così, come sempre, se ne andava di buon passo verso Alzo, con gli scarponi chiodati ai piedi e un grosso bastone dalla punta di ferro in mano, fischiettando un’arrogante canzone.
Nei pressi della palude udì un fischio imprevisto e sinistro. Si voltò e vide ad un metro di distanza il Basilisco. Allora, senza perdere tempo e senza guardarlo negli occhi, alzò il bastone e lo colpì violentemente. Quindi si allontanò di corsa, troppo spaventato per voltarsi indietro.
Fu quello, forse, il suo errore. Il Basilisco non è mostro che possa essere ucciso con una bastonata, per quanto forte sia il colpo. Ferito, scivolò lentamente nella tana avvolgendosi nelle proprie spire. Nell’oscurità cominciò a covare il proprio risentimento. Perché per il Basilisco, come per tutti gli esseri della stirpe dei draghi, la vendetta è più di un dovere: è un destino.
Mentre nel suo corpo immobile la ferita rimarginava, la mente si accaniva senza tregua sull’immagine di colui che aveva osato colpirlo. Infine, esattamente un anno dopo, scivolò fuori e si mise in attesa tra le rocce.
Quella sera, come ogni sera prima di quella e nessuna in seguito, l’uomo ritornava a casa dal lavoro. Quando fu alla palude il Basilisco, con un solo dolorosissimo sguardo, gli strappò l’anima dal petto.
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