sabato 21 novembre 2009

Le Polaroid di Marco Franceschini


Sono piccole gocce di memoria che riaffiorano, sono i classici scatti della vecchia Polaroid, forse un pò sbiaditi, sdruciti...ma che ritraggono pur sempre noi e il nostro vissuto.

La Seicento del fornaio
La Fiat 600 del fornaio non era una seicento qualunque, era speciale. Di più: era Abarth. Era l’essenza dell’aggressività, nessun’altra auto nel rione popolare era così cattiva e grintosa. Quella seicento non avrebbe sopportato nessun compromesso, anzi, era votata alla rissa. Il panettiere non la parcheggiava neppure vicina alle altre, grandi e piccole che fossero, e secondo me era perché la sua Abarth le provocava. La teneva sul marciapiede, in divieto di sosta davanti alla bottega.Già al minimo lei ringhiava, con il motore che teneva il minimo e rispondeva rapida ai colpi di gas ballonzolando sotto il cofano, tenuto semiaperto da un paio di stecche, come si usava allora, nella spettacolare ricerca di ventilare adeguatamente qual piccolo motore attaccabrighe. Anche lo scarico – doppio! – ballava e si abbassava bruscamente ad ogni accelerata, con un suono che da ruvido mutava improvvisamente in acuto. Che meraviglia! E poi un giorno era pure cresciuto di misura, perché la scritta Fiat 600, pur con l’aggiunta “Abarth”, era stata sostituita da una, ben più consistente: 850. Quella notte, in una misteriosa metamorfosi, era diventato ottoecinquanta! Una specie di Ferrari in miniatura. Quando passavo davanti al fornaio, che si trovava sul mio percorso casa-scuola elementare, insomma, la trovavo sempre là, ed aveva il potere di bloccarmi, facendomi così correre (!) il rischio di farmi arrivare tardi alle lezioni. Sì, perché allora si andava anche due pomeriggi alla settimana, ma le mattinate in classe, però, erano così un poco più brevi. Era davvero divertente osservare ogni particolare della – chiamiamola per convenzione – seicento, anche perché c’era quasi sempre qualche cosa che si aggiungeva, di settimana in settimana, aumentando così la sua natura luciferina. Certo non è che tutte le volte si arrivasse all’aumento di cilindrata, ma insomma lo spettacolo non mancava mai: ora la coppa dell’olio maggiorata spuntava da sotto, ora il proprietario le regalava la strumentazione speciale con il grande contagiri, il volante a tre razze, ora il radiatore supplementare… Gli scudetti giallo-rossi con lo scorpione, simbolo dell’Abarth, costellavano la carrozzeria bianca come la farina della quale il proprietario era sempre come impolverato, scudetti che toglievano ogni dubbio. Mica il caso mio, ma l’ignoranza in materia di simili belve non mancava, in giro. Un giorno, dopo un’evidente cura subita anche dalle sospensioni, trovai la piccola Fiat con il muso che, nato pacioso per famiglie di belle speranze e dalle molte cambiali, morsicava ora l’asfalto, come un cane che tira la tovaglia dal tavolo, trascinando con la tovaglia anche il servizio buono. “Fiat Abarth!”. Ed anche le zucche si tramutavano in veloci carrozze (scoprii in seguito, mio malgrado vista l’intrinseca difficoltà della materia anche, per così dire, risonanze latine in questo binomio!). Naturalmente si doveva prestare attenzione, poiché c’erano le Abarth vere e quelle false, ma per noi bambini il sistema per smascherare i falsi c’era: se lo scarico era doppio, allora era un’originale! Mi accorsi in seguito che anche questo parametro, questa “certificazione”, come si direbbe ora, non era certo sufficiente ma, si sa, più si invecchia e più si scopre che le verità sono difficili da cogliere e le fregature facili da prendere. Allora, insomma, bastava molto meno, dico per scoprire la verità o per credere di conoscerla. La mia passione per l’Abarth cresceva giorno per giorno, virulenta e, come ebbi modo di constatare successivamente, incurabile, ma allora ero più ottimista e pensai così di poter soddisfare almeno un po’ il mio desiderio di entrare a far parte del mondo dello scorpione. Quindi, cercavo di “vivere in modo Abarth”. Molte mie attività, così, erano “abarthizzate”, per usare una mia definizione di allora, ad esempio salire le scale di casa: si trattava di correre sulle rampe come un matto, su fino al quinto piano, unendo alla velocità una valida imitazione del rumore del motore, e mimando, a pugni tesi in avanti, l’impegno della guida, magari con frequenti cambi di marcia. La Trento-Bondone, insomma! Mia madre avanzava talvolta qualche riserva, dal momento che non sempre rimanevo nei limiti fonometrici di legge. E poi lei non capiva perché una seicento alla fine dovesse costare come una millecento! Ma come spiegarglielo!? Se una seicento fila a 140 all’ora e brucia le millecento, mica può costare di meno?! E poi la mamma, proprio lei, che faceva la spesa tutti i giorni, come faceva a non capire? Erano tutti pezzi speciali! Un ulteriore miglioramento nelle mie prestazioni lo raggiunsi quando acquistai dal cartolaio, proprio di fianco al forno, uno scudetto adesivo giallo e rosso con lo scorpione. Costava la non certo trascurabile somma di 140 Lire, che rappresentava numerosi lavoretti casalinghi che fruttavano ora 10, ora 20 Lire. Mia madre non è che capisse il fascino Abarth, ma almeno mi permetteva, pedagogica, di accumulare così risparmi…Dopo giorni di impegno, appiccicai con mille cure lo scudetto sul carter catena della mia bicicletta rossa. Da quel giorno anch’io ero entrato nell’eletto gruppo dei possessori di un’Abarth e le prestazioni della bici registrarono come per incanto un impulso incredibile: accelerazione bruciante, velocità elevata, tenuta di strada superiore erano finalmente caratteristiche anche della mia fida e paziente Atala con ruote da 18. Lo scorpione, ancora una volta, aveva punto la meccanica senza pietà ed il veleno era entrato in circolo.

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