sabato 5 dicembre 2009

Il grande ingannatore e i suoi figli

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.

Dante, "Inferno" XXVI

Tutto cominciò con una bugia, ricordate?
“Mangiate dell’albero di questo frutto e non morirete, anzi sarete simili a Dio!”
E noi lì di corsa ad ingozzarci dei frutti dell’albero della conoscenza del Bene e del Male solo per scoprirci nudi, deboli e mortali. La più grande truffa della storia. D’altro canto cosa vi aspettate dal grande drago, il serpente antico, colui che chiamano il Diavolo e Satana, dal Grande Ingannatore insomma? Ma noi umani imparammo presto il trucco e diventammo maestri nell’arte della menzogna.

Ulisse, il “mai sazio d’inganni” ci costruì la sua fama. Così bugiardo che quasi gli riuscì quello che sarebbe stato il colpo della sua vita: evitare di andare alla guerra contro la città di Troia. Avendo saputo da un oracolo che se fosse partito sarebbe stato lontano da casa venti anni, si finse matto. Fu smascherato da un tal Palamede che prese il figlioletto di Ulisse e glielo mise davanti mentre faceva pazzie guidando l’aratro. Ulisse si fermò, naturalmente, perché non era mica pazzo. Ma se la legò al dito. Così Palamede, guarda caso, non fece mai ritorno dalla guerra. Uno strano incidente lo tolse di mezzo. Nella sua tenda vennero trovate delle monete e una lettera compromettente del re nemico. Prove sufficienti a farlo condannare a morte. Prove, secondo alcuni, messe ad arte dalla “manina” di un “noto” ingannatore.



Come è risaputo, l’arte di ingannare dell’eroe greco si rivelò fondamentale anche per la fine della guerra. Fu sempre Ulisse, infatti, a confezionare il più grande “pacco” della storia. Un enorme e bellissimo cavallo di legno lasciato in dono agli abitanti di Troia dai Greci, ufficialmente stanchi della guerra. Un vero portafortuna, spergiurava l’attore greco ingaggiato da Ulisse per fare la parte del disertore, un talismano in grado di rendere imprendibile Troia assicurandole l’eterna protezione divina, se fosse stato portato dentro la città. I troiani abboccarono e demolirono pure le mura per far introdurre quel gigantesco arnese, che proprio non voleva saperne di passare per la porta troppo stretta. Così quella stessa notte, mentre i Troiani dormivano ebbri e felici, Ulisse e i greci uscirono dal cavallo in cui erano nascosti e diedero il via al massacro.
Ulisse finì all’inferno per questo (e altri) inganni perpetrati nella sua lunga carriera. Almeno questo ci dice Dante, che lo incontrò all’Inferno. Il poeta tuttavia ne fu affascinato e ne restituì il grandioso ritratto di uomo che per amore della conoscenza è pronto a sacrificare la vita.




L’astuzia, l’inganno, la frode in fondo ci affascinano. Certo non i truffatori che raggirano le persone anziane ed indifese. Quelli sono infami almeno quanto coloro che ingannano i bambini. Ma gli altri? Quelli capaci, come Totò di vendere la Fontana di Trevi al turista in cerca di facili affari? O come il re della 'stangate' Frank Abagnale Jr., interpretato sullo schermo da Di Caprio? Quelli alla fine, ammettiamolo, ci risultano simpatici.



Perché l’astuzia e l’inganno sono la tentazione dell’intelligenza e il confine tra conoscenza e imbroglio talora è incerto come la differenza tra una banconota vera ed una falsa.

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