sabato 5 dicembre 2009

Il Riso: seconda parte

Dall'insegnamento alla scrittura, come è avvenuto questo passaggio e perchè questa esigenza?

Ho cominciato a scrivere testi scolastici per procurarmi strumenti di lavoro. Ho iniziato a insegnare a tempo indeterminato a 25 anni,nel 1976, in un istituto professionale, insegnavo "cultura generale" e,naturalmente non avevo libri adeguati.
Si usavano, infatti, testi in uso nel biennio degli istituti tecnici. Il mio primo testo uscì nel 1986 e si intitolava, guarda caso!, Cultura generale ed educazione civica. Appena edito il testo, però, sono stata trasferita in un biennio tecnico e mi sono trovata alle prese con I Promessi Sposi. Allora era in uso proporre agli studenti esercizi di comprensione del testo . Io, però, non avevo mai il tempo di dettare le domande. Ho deciso, così, di scrivere un eserciziario che Mursia ha pubblicato nel 1988. Di primo acchito ha venduto sessantamila copie. Segno che ce n’era bisogno. E’ stato forse il mio testo di maggior successo, si vende ancora. Poi la Casa Editrice mi ha proposto un’antologia dei Promessi Sposi. Mi è andata a genio l’idea di scrivere un testo semplice, che permettesse ai ragazzi di evitare la lettura delle pagine più ostiche e complesse del romanzo, sostituite da sobri riassunti commentati. Anche questo si vende tuttora.Ero, certo, emozionata e anche preoccupata all’idea di intervenire con “tagli” nei confronti di un “mostro sacro” come il romanzo del Manzoni. Ma poi ho visto che l’operazione funzionava e che la lettura veniva semplificata , a tutto vantaggio degli studenti.Quando sono passata al triennio e ho dovuto fare i conti con la Commedia di Dante, ho applicato lo stessa procedimento ed è uscita, sempre per Mursia, un’antologia della Divina Commedia che ancora si vende bene, semplice e piana, con i canti più difficili, articolati e, diciamo la verità, abbastanza illeggibili per ragazzi di sedici-diciotto anni, riassunti e commentati senza troppi voli pindarici. Nel frattempo, con un’amica, ho iniziato a scrivere romanzi per ragazzi ( per lo più polizieschi) e la Casa Editrici ha voluto che l’iniziativa proseguisse e divenisse la collana Apprendista scrittore: si tratta di romanzi d’avventura, intriganti, corredati da esercizi di scrittura creativa. Mi sono trovata a costruire un metodo piano e semplice per educare alla scrittura, approfittando della suggestione della lettura ( invitando i ragazzi a manipolare o integrare il testo o inventare finali diversi o a lavorare sugli stili e sulle tecniche ecc. e poi, acquisita esperienza di scrittura, suggerendo loro di cimentarsi in un breve testo completo e “tutto loro”) .Le scuole che hanno adottato i testi mi hanno così invitato a iniziative di “Incontro con l’autore” oppure mi hanno proposto di organizzare veri e propri corsi di scrittura creativa per ragazzi.Da ultimo sono approdata alla scrittura di racconti e romanzi per adulti.

Laboratori di scrittura creativa per i ragazzi quali le difficoltà e le soddisfazioni incontrate?

Educare alla scrittura è piacevole e divertente. Si tratta proprio, in senso etimologico, di e-ducere dalla mente e dall’animo dei ragazzi le parole che permettono di costruire un testo. Io, solitamente, sviluppo un percorso collettivo, quando si tratta di scrivere filastrocche o fiabe o racconti e anche, all’inizio, poesie, perché i ragazzi, insieme, si sentono più forti e collaborano più volentieri quando viene coinvolta tutta la classe. Lavorare da soli spesso li mette in difficoltà, perché non sanno come dare inizio al lavoro, ridacchiano, scherzano tra loro e non si schiodano dall’empasse.Si inizia con la progettazione del testo ( l’idea fondamentale su cui lavorare, la delineazione dei personaggi, la stesura, per sommi capi di un intreccio ecc.). Successivamente si correda questo progetto di parole adeguate e, infine, si passa a una spietata analisi per la drastica correzione di tutto ciò che non va…Difficoltà? Non ne trovo, se la classe ha entusiasmo e mi segue con fiducia. E’ invece problematico se è una classe demotivava e indisciplinata, ma mi è capitato molto raramente di trovarne.

Come si è documentata per scrivere "il Taglio del riso e altri racconti di pianura"?

Questa raccolta di racconti è nata dal desiderio di rendere omaggio a mia madre, la Giuse. I protagonisti, infatti, sono i miei nonni materni, mia madre e le mie tre zie. In realtà non ho avuto bisogno di documentarmi: le storie erano quelle che nei lontani anni Cinquanta ( io sono nata nel 1951) sentivo evocare, la sera, nel tinello della casa dei miei nonni dove ho vissuto sino a sei anni e che poi ho frequentato a lungo ancora. Allora ancora non c’era la TV, si ascoltava la radio, ma si chiacchierava molto. Le mie zie, che solo nel 1946 avevano lasciato la cascina Bertottina per venire a vivere in città con in genitori, ricordavano con nostalgia la loro adolescenza e giovinezza. Quegli anni, la cascina, alcuni personaggi e animali ( il maiale Batiston è esistito davvero e così il cavallo Grillo, il cavallante Miglio ecc.), venivano evocati quasi in tono mitico ( ha presente il mito dell’infanzia di Pavese?). Quelle conversazioni, l’evocazione di ricordi mi incuriosivano, perché anche si parlava di guerra, di partigiani , di un passato “recente”, ma remoto al contempo, perché erano ormai gli anni della Repubblica, del miracolo economico. Io ero una bimbetta, assorbivo emozioni . Mia madre mi raccontava spesso dei due soldati inglesi ospitati da mio nonno in cascina e della loro partenza. Mi raccontava delle sere, trascorse al buio ad ascoltare la BBC, di un aereo, soprannominato Pippo, che sparava a ogni raggio di luce, la notte, che mitragliava i treni di giorno. Quando ho deciso di partecipare al concorso “Dante Graziosi”, bandito dal Piccolo Torchio (alias Interlinea), ho raccontato proprio una di quelle storie e ho sottoposto a un arduo interrogatorio mia madre e mia zia Vanna ( oggi l’unica sopravvissuta), per saperne di più. Ma ho scoperto che i testimoni oculari spesso sanno molto poco di quanto accade intorno a loro, se si prescinde dalla loro esperienza personale. Allora ho chiesto al dottor Mauro Begozzi, direttore dell’ “Istituto storico della Resistenza” di Novara, che è una meravigliosa fonte di sapere in merito di storia locale degli anni Trenta e Quaranta soprattutto. E poi ho consultato libri che hanno illuminato anche mia madre, la quale solo allora è riuscita a spiegarsi tante incongruenze sulle quali aveva sempre sorvolato. Per esempio abbiamo scoperto perché mai l’8 settembre 1943 due soldati inglesi fossero piombati in cascina da mio nonno e avessero bisogno di nascondersi.

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