Ho cominciato a scrivere testi scolastici per procurarmi strumenti di lavoro. Ho iniziato a insegnare a tempo indeterminato a 25 anni,nel 1976, in un istituto professionale, insegnavo "cultura generale" e,naturalmente non avevo libri adeguati.
Educare alla scrittura è piacevole e divertente. Si tratta proprio, in senso etimologico, di e-ducere dalla mente e dall’animo dei ragazzi le parole che permettono di costruire un testo. Io, solitamente, sviluppo un percorso collettivo, quando si tratta di scrivere filastrocche o fiabe o racconti e anche, all’inizio, poesie, perché i ragazzi, insieme, si sentono più forti e collaborano più volentieri quando viene coinvolta tutta la classe. Lavorare da soli spesso li mette in difficoltà, perché non sanno come dare inizio al lavoro, ridacchiano, scherzano tra loro e non si schiodano dall’empasse.Si inizia con la progettazione del testo ( l’idea fondamentale su cui lavorare, la delineazione dei personaggi, la stesura, per sommi capi di un intreccio ecc.). Successivamente si correda questo progetto di parole adeguate e, infine, si passa a una spietata analisi per la drastica correzione di tutto ciò che non va…Difficoltà? Non ne trovo, se la classe ha entusiasmo e mi segue con fiducia. E’ invece problematico se è una classe demotivava e indisciplinata, ma mi è capitato molto raramente di trovarne.
Come si è documentata per scrivere "il Taglio del riso e altri racconti di pianura"?
Questa raccolta di racconti è nata dal desiderio di rendere omaggio a mia madre, la Giuse. I protagonisti, infatti, sono i miei nonni materni, mia madre e le mie tre zie. In realtà non ho avuto bisogno di documentarmi: le storie erano quelle che nei lontani anni Cinquanta ( io sono nata nel 1951) sentivo evocare, la sera, nel tinello della casa dei miei nonni dove ho vissuto sino a sei anni e che poi ho frequentato a lungo ancora. Allora ancora non c’era la TV, si ascoltava la radio, ma si chiacchierava molto. Le mie zie, che solo nel 1946 avevano lasciato la cascina Bertottina per venire a vivere in città con in genitori, ricordavano con nostalgia la loro adolescenza e giovinezza. Quegli anni, la cascina, alcuni personaggi e animali ( il maiale Batiston è esistito davvero e così il cavallo Grillo, il cavallante Miglio ecc.), venivano evocati quasi in tono mitico ( ha presente il mito dell’infanzia di Pavese?). Quelle conversazioni, l’evocazione di ricordi mi incuriosivano, perché anche si parlava di guerra, di partigiani , di un passato “recente”, ma remoto al contempo, perché erano ormai gli anni della Repubblica, del miracolo economico. Io ero una bimbetta, assorbivo emozioni . Mia madre mi raccontava spesso dei due soldati inglesi ospitati da mio nonno in cascina e della loro partenza. Mi raccontava delle sere, trascorse al buio ad ascoltare la BBC, di un aereo, soprannominato Pippo, che sparava a ogni raggio di luce, la notte, che mitragliava i treni di giorno. Quando ho deciso di partecipare al concorso “Dante Graziosi”, bandito dal Piccolo Torchio (alias Interlinea), ho raccontato proprio una di quelle storie e ho sottoposto a un arduo interrogatorio mia madre e mia zia Vanna ( oggi l’unica sopravvissuta), per saperne di più. Ma ho scoperto che i testimoni oculari spesso sanno molto poco di quanto accade intorno a loro, se si prescinde dalla loro esperienza personale. Allora ho chiesto al dottor Mauro Begozzi, direttore dell’ “Istituto storico della Resistenza” di Novara, che è una meravigliosa fonte di sapere in merito di storia locale degli anni Trenta e Quaranta soprattutto. E poi ho consultato libri che hanno illuminato anche mia madre, la quale solo allora è riuscita a spiegarsi tante incongruenze sulle quali aveva sempre sorvolato. Per esempio abbiamo scoperto perché mai l’8 settembre 1943 due soldati inglesi fossero piombati in cascina da mio nonno e avessero bisogno di nascondersi.
Nessun commento:
Posta un commento