sabato 13 febbraio 2010

Il sogno proibito della vita artificiale


Vidi, a occhi chiusi, ma con un’acuta potenza evocativa della mente, vidi il pallido studioso di arti profane inginocchiato davanti alla cosa da lui creata. Vidi il fantasma orribile di un uomo disteso e poi, per opera di una potente macchina, vidi che mostrava segni di vita, scosso da un moto inquieto, semivitale. Inorridito lo studioso fuggiva lontano dalla sua odiosa opera, sperando che, abbandonandola a se stessa, si spegnesse la flebile scintilla di vita da lui comunicata. Poi lo studioso si addormenta, ma qualcosa lo risveglia: apre gli occhi e scorge l’orrenda cosa, in piedi, a fianco del letto, nell’atto di aprire le cortine e di guardalo con acquosi occhi gialli, animati tuttavia dall’intelletto.
Mary Wollstonecraft Shelley, Frankenstein ovvero il Prometeo moderno, 1818.

Penetrare i segreti della vita, poter ricreare artificialmente, in un laboratorio, quella scintilla capace di trasformare la materia inerte in un essere vivente. Questo è il sogno proibito di molti scienziati.
Ci provò, e disse di esserci riuscito, il celeberrimo alchimista svizzero Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim, in arte Paracelso che lavorò alla creazione dell’Homunculus (una vita in vitro, diremmo noi moderni).

Ne discussero, in un sera oscura di una gelida estate, sulle sponde di un lago svizzero un poeta inglese appassionato di arti occulte ed il medico personale di un altro poeta dallo spirito satanico.
Da quella conversazione, in cui si parlava della possibilità di infondere la vita ad un corpo inanimato mediante l’elettricità, ascoltata da una scrittrice adolescente, nacque realmente una delle creature più spaventose della letteratura.
La tragica Creatura creata da Victor Frankenstein è, a dire il vero, un essere dallo spirito filosofico, dotato di fine eloquenza, nato con un animo proteso al bene, che il rifiuto e l’odio da parte di tutta la razza umana, compreso il proprio creatore, spinge inesorabilmente verso un destino di malvagità e morte.
Occorre dire, a quanti non hanno letto il romanzo, che “Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno” è anche, e forse soprattutto, “un romanzo filosofico in una storia gotica con una cornice sotto forma di diario” in cui vengono trattati temi ancora oggi attuali. Oltre al problema dei limiti morali della scienza, il romanzo denuncia duramente l’ipocrisia di una società che esclude il diverso e non da valore a coloro che non hanno alle spalle una famiglia importante né una cospicua ricchezza nella borsa. Ugualmente spietata è la critica verso la giustizia umana che condanna l’innocente lasciando libero il vero colpevole.

Il richiamo al mito di Prometeo e al suo rapporto di odio amore verso il padre Creatore, è esplicito non solo nel titolo, ma in numerosi riferimenti interni al testo a partire dal disperato grido di dolore che sale al cielo dagli inferi all’inizio del romanzo:

Ti ho forse pregato io, Creatore, dalla creta
Di farmi uomo? Ti ho forse chiesto io
Di trarmi dal buio?
(J. Milton, Paradiso perduto, libro X, vv. 743-45)

Se volete sapere come e perché la giovanissima Mary Wollstonecraft Shelley giunse a concepire un’opera come “Frankenstein ovvero il Prometeo moderno”;
o conoscere le straordinarie ed incredibili circostanze che costrinsero alcune delle menti artistiche più brillanti del tempo a trascorrere molte sere nelle tenebrose stanze di una villa sulla riva di un lago;
o sapere in che modo il mito della Creatura di Frankenstein è legato a quello altrettanto vitale, di un’altra creatura che si muove sull’incerta linea di confine che separa la Vita e la Morte, il Vampiro;
se volete conoscere tutto questo ed altro ancora, vi consiglio di andare a leggere la storia a puntate “Una lunga gelida estate” che ho pubblicato alcuni mesi fa su il Lago dei Misteri.

1 commento:

Alfa ha detto...

"Una lunga gelida estate" è la prima delle storie tratte dal diario di "Camilla".