venerdì 19 marzo 2010
GUARDIE & LADRI - Sabato 20 marzo
A tema Guardie & Ladri il mio cervellino, ahimè in questi giorni febbricitante, ha partorito, come Giove fece con Minerva, un racconto che narra di un furto molto particolare... è un racconto lungo, un po' troppo per il ritmo della radio. Quindi è probabile che non possiate ascoltarlo: mi auguro vogliate leggerlo, e se vi va, farmi sapere poi il vostro parere.
GUARDIE & LADRI - di Rossana Girotto
Padre Raphael guarda il grande crocifisso di marmo candido e si inchina al suo Signore inchiodato lassù. Si lascia alle spalle il cielo stellato di lapislazzuli affrescato sulla volta della cappella, e si ritrova sotto un altro cielo stellato, affrescato sulla volta della laguna. Fa freddo, infinite piccole luci tremano tra aria e acqua. Venezia è laggiù. Venezia sopravvissuta a tutto nei secoli dei secoli, Venezia che sopravvive a se stessa ogni giorno.
Grazie a Nostro Signore e a Napoleone qui stiamo tranquilli, poggiando i piedi su un tesoro inestimabile.
Padre Raphael raggiunge la banchina di attracco, si assicura che la cancellata d’ingresso alla sua isola sia ben chiusa. E’ bassa, facilmente scavalcabile, ma la croce di ferro incastonata tra le sbarre è un monito che mai nessuno ha osato violare. Si avvicina alla statua dell’Abate Mechitar, il Consolatore, avvolto dall’antico cespuglio di rose. C’è già qualche bocciolo infreddolito ma pieno di speranza nella sua piccola prossima vita.
E’ un impegno spuntare stagione dopo stagione, da secoli, da quel giorno sacro in cui mani sante piantarono il primo arbusto.
Sussurrano, le foglie. Padre Raphael si ferma ad ascoltare. E’un respiro, lieve ma veloce . Non crede nei miracoli, il monaco, non crede nelle apparizioni celesti, nelle statue lacrimanti. Al popolo armeno apparve solo l’Angelo della Morte, e gli unici volti rigati di lacrime furono quelli delle donne trascinate nei campi insanguinati dai tchété, i gruppi di azione turchi.
No, quel respiro non proviene dal Fondatore di bronzo, e quegli occhi brillanti dietro la siepe di rose non appartengono certo alla Vergine Maria. A una giovane kin, una donna, questo sì, piuttosto bella, il viso pallido dagli zigomi alti sotto un berretto di lana scura.
“Dovete aiutarmi, ho bisogno di un rifugio, hayr. Padre” . Glielo dice in armeno, e Padre Raphael non fa domande. Lei si aggrappa con forza al suo braccio e insieme entrano nel monastero. Fermi nel chiostro, il monaco si volta a guardarla. E’ completamente vestita di nero, stretta in un cappottino smilzo, le scarpe e l’orlo dei pantaloni sono bagnati. Lo sguardo è fermo, solo un po' stanco. Camminano tra le colonne, fino alla porta della foresteria. Appeso all’arco di pietra penzola un enorme angelo di legno d’ulivo.
E’ davvero vecchissimo, pensa lei, solo le punte delle ali e una guancia paffuta conservano tracce di stucco dorato.
Davanti alla porta di un cella per gli ospiti Padre Raphael prende una chiave dalla tasca e la infila nella serratura. La donna stringe una piccola borsa di tela damascata. Ne tira fuori un passaporto e glielo porge. Repubblica di Armenia. Non lo apre, Padre Raphael. Non è un uomo curioso, ha fede nei disegni divini.
Mormora buona notte a quegli zigomi alti, e prosegue verso la biblioteca.
E’ l’alba quando Padre Raphael apre gli occhi mentre il canto del gallo ormai decano viene coperto dal rumore di un motoscafo che attracca. Bussano alla porta, è Padre Daniel che lo chiama. Oggi non è atteso nessun ospite particolare ed è troppo presto per l’arrivo dei turisti.
Si infila la veste mentre apre la porta e afferra il crocifisso d’argento scuro appeso allo stipite.
Sulla banchina, dietro il cancello ancora chiuso, c’è un uomo con un cappotto grigio, un Borsalino e una sciarpa in tinta. Ha l’espressione serena nonostante Padre Daniel si sia rifiutato di aprirgli il cancello.
Padre Raphael osserva la corta barba curata, le scarpe lucide e il colletto di una camicia rosa che occhieggia dalla sciarpa.
Il tono è pieno di rispetto mentre porge la mano attraverso le sbarre e chiede “ è lei Padre Raphael?”
“Sono io, buongiorno”
“Sono il tenente Sandro Contarini , Guardia di Finanza, Comando di Venezia, divisione tutela beni artistici e archeologici”
“Prego, entri. Benvenuto tra noi”.
Il tenente si sofferma ai piedi della statua dell’Abate Mechitar, e osserva il terreno intorno al cespuglio di rose. Anche Padre Raphael scruta quel punto, stringendo le palpebre. Quando risolleva lo sguardo, gli occhi del tenente sono inchiodati ai suoi. “Hayr, mi dica: ha ricevuto visite stanotte?”.
Lo sguardo azzurro del monaco è deciso nella menzogna; non importa, per ora, che l’uomo abbia usato una parola armena.
“Certo che no, tenente. Perché questa domanda?”
“Perché sto giocando a Guardia e Ladri. Con una donna che ha rubato qualcosa di importante, e che potrebbe essere qui, a San Lazzaro – sposta lo sguardo sulle finestre buie del monastero – sì, proprio qui”
“Non ospitiamo ladri, tenente”
“Nemmeno se armeni?”.
Non aspetta la risposta, il tenente. Ha visto le tracce umide sul sentiero lastricato. Sono passate quattro ore ma non hanno fatto in tempo ad asciugarsi del tutto.
“Prego, entriamo. Può fare colazione insieme a noi. Ormai è l’orario giusto”.
Mentre oltrepassa l’arcata del refettorio Padre Raphael ha una piccola esitazione: e se anche la giovane kin fosse uscita dalla sua cella, alla ricerca di qualcosa da mangiare? Ma nessuno oltre lui sa della sua presenza sull’isola. E lei sembrava abbastanza furba da non tradirsi per un tazza di latte.
Intorno al tavolo del refettorio ci sono una decina di monaci e due ragazzi in jeans e maglione. Si alzano tutti all’entrata di Padre Raphael con lo sconosciuto e mormorano buongiorno.
Padre Daniel ha apparecchiato due posti alla fine del tavolo, lontano dagli altri commensali. “Questi sono tutti gli abitanti dell’isola. In realtà c’è anche il reverendo Padre Mesrop, che è molto anziano e ormai infermo. Non esce dalle sue stanze da un paio d’anni ormai, ed è accudito da un infermiere professionale, che dovrebbe scendere tra poco per la colazione. Come vede non ci sono ladre…”
“I due ragazzi?”
“Sono le guide per i turisti"
“Sono venuto a San Lazzaro diverse volte quand’ero ragazzino. C’erano i monaci a far da guide. Mi ricordo di lei, infatti, e di uno anziano: probabilmente quel Padre Mesrop”. “Da un anno e mezzo abbiamo delle guide che vengono da fuori. Studenti, che stanno con noi sei mesi, più o meno. Lingue, filosofia o teologia. Tutti di origine armena. Loro sono di Parigi. Abbiamo aperto anche il bookshop. Ma, mi dica: questa ladra non sembra tanto pericolosa”
“Cosa glielo fa pensare?"
“Lei è venuto da solo, perfino senza il pilota del motoscafo. E non è neanche armato, mi sembra”
“Diciamo che sono venuto a indagare. Non mi serve la pistola. Sono armato del mio distintivo, come lei della sua croce”
“Cosa avrebbe rubato? Vale tanto quell’oggetto? Lei prima ha detto importante, non prezioso”. “Esatto. Il valore in questi casi è relativo. Un valore sicuramente storico perché è antico. Prezioso a livello religioso, o simbolico, visto che è una specie di reliquia”. “Una specie di reliquia? Lei è un esperto in materia, lo sa bene che una reliquia è tale o non lo è. Si tratta di Fede? Riguarda il mio popolo? Perché lo cerca qui a San Lazzaro? E chi sarebbe questa donna con cui gioca a Guardie & Ladri?”. Il tenente sorride, guarda quegli occhi azzurri vivacissimi. Padre Raphael non è certo un mite monaco dedito soltanto all’ascesi mistica. Sul web circolano i suoi articoli polemici sulla possibile entrata della Turchia nell’Unione Europea, e il Vaticano lo tiene sul palmo della mano per la sua fermissima posizione anti islamica. “ Si tratta di un gioiello. Una croce dal disegno particolare, in argento e pietre dure: madreperla, ametista, pietra di luna, corniola e perle. Come lei saprà, sono le pietre simbolo del femminino, quindi una croce dedicata alla Madre di Gesù. Fu creata per il re armeno Ashot, poi custodita e adorata nei monasteri lungo i secoli. Fu donata a Caterina II di Russia a metà del 1700, quando si impegnò nell’alleanza anti-islamica. La zarina la indossò regolarmente, si dice, dimostrando la propria amicizia col popolo armeno. Poi il gioiello passò nelle mani di un nobile ebreo, che la cedette ai musei vaticani per esposizione, ma mantenendone la proprietà. Si ricorda quando nel 2000 Papa Woityla consegnò la reliquia di san Gregorio al vostro Patriarca?” “Sì. Il Catholicos Karenin. Si dice Catholicos, non patriarca”
“Bene, il vostro… catholicos fece richiesta formale per avere, anzi ri-avere,come sosteneva lui, anche quella croce. Il Vaticano dovette rifiutare, perché non ne è proprietario. I proprietari sono ancora i discendenti di quell’ebreo. Ma la croce è stata trafugata un mese fa, insieme a un diadema di smeraldi, anch’esso di Caterina. Le telecamere hanno ripreso una sagoma femminile, confrontabile positivamente con l’immagine di una giovane donna presente al museo il pomeriggio prima del furto. Una donna con qualche precedente, di cui conosciamo l’identità. È armena, ma sta in Italia da tempo. Ha studiato e abitato a Venezia”
“E lei si è messo alla caccia di un monile di argento e pietre dure, partito da uno sconosciuto re armeno dell’800, portato al collo per qualche mese da Caterina di Russia e messo in una vetrina in Vaticano, dove la gente va a guardare le ametiste dei cardinali, le tiare dei Papi e qualche ossa dei loro Santi, non certo una croce armena! La gente non sa nemmeno cosa sono gli Armeni! Quanto è preziosa per lei quella croce? Che valore vi ha dato il proprietario ebreo? Quanto può costare perché lo Stato italiano sguinzagli un ufficiale esperto d’arte, appartenente all’aristocrazia veneziana, non è così, dietro a un oggetto tale?”.
Padre Raphael si alza, irritato. La colazione è terminata, e la visita del tenente pure. Glielo fa capire chiaramente, prendendogli un braccio e spingendolo verso l’uscita.
“E quanto sarebbe preziosa invece, per gli Armeni? Un valore inestimabile, no? In termini di storia e religione. In termini di Fede”
“E lei pensa a un furto su commissione? Commissione nostra, magari?".
Il tenente ha un lampo di stupore negli occhi.
“No. Devo dire che questa ipotesi non l’avevo considerata. Pensavo a un furto, come dire, a scopo di dono. Un… risarcimento al popolo armeno. Capisce? E poi io sto inseguendo la ladra, che ha anche il diadema, quello sì ha un valore, in denaro, altissimo. E’ mio compito recuperare la refurtiva e possibilmente procedere all’arresto. Anche se la vostra croce non valesse nulla, si tratta di un reato”. Padre Raphael fa un sorriso amaro. Accarezza un bocciolo di rosa.
“ Lei e io portiamo una divisa, che ci rende servitori. Lei serve uno Stato in nome della Legge, io servo un popolo in nome di Nostro Signore – si avvicina allo stemma d’oro che il tenente porta appuntato sul collo del cappotto – nic recisa recedit, nemmeno decimati arretriamo. È il motto della Finanza? È perfetto anche per il popolo armeno, mi creda”. Tende il braccio verso il motoscafo attraccato. “ Le auguro di riuscire a vincere la sua partita di Guardie e Ladri. E di servire sempre meglio il suo Stato. Gesù la benedica”.
Il tenente annuisce con la testa. Non ha niente da dire al monaco, nessun augurio e nessuna benedizione. Chiude da solo il cancello e salta a bordo.
Padre Raphael lo guarda allontanarsi verso il bacino di San Marco nel sole mattutino di questo aprile ancora freddo. Sul viso magro appare un sorriso ironico: il palazzo delle Fiamme Gialle sul Canal Grande, ancora splendido, fu costruito da un ricco mercante armeno.
La Guardia se ne è andata. Adesso pensiamo alla Ladra.
Si dirige frettolosamente verso la foresteria. La porta della cella è aperta, la chiave posata sull’inginocchiatoio. La stanza è vuota.
Si volta e vede Padre Daniel osservare l’angelo di legno. “ Hayr! Raphael! – lo chiama – venga a vedere… questo cos’è?”.
Dal collo dell’angelo di legno pende la croce di Ashot,il re dei re. La croce della Vergine. È bellissima.
Il tenente Contarini rallenta all’imboccatura del Canal Grande. Vira verso La Salute, non sa perché ma sente il bisogno di entrare nella basilica, come se di spiritualità non ne avesse avuta abbastanza questa mattina. O forse,visto che sono le sette e mezza, confonde Dio con la voglia di un caffè americano al bar del Guggenheim.
Avverte un movimento sottocoperta, istintivamente porta una mano sotto l’ascella. Giusto, niente pistola d’ordinanza stamattina. Vengo armato di distintivo, ma che bella frase!
“Non hai bisogno della pistola. La nostra partita a Guardia e Ladri è finita”.
La donna lo guarda negli occhi. Magrissima nel cappottino nero, si siede sulla panca, vicino a lui, tranquilla. Tiene la piccola borsa di stoffa damascata sulle ginocchia, aspetta che il tenente accosti il motoscafo alla passerella del vaporetto e si sieda accanto a lei. Apre la borsa e gliela porge. Dentro c’è diadema di Caterina II di Russia. Oro rosa e smeraldi degli Urali Polari. Perfetto e splendente. Nella borsa ci sono anche un passaporto, un piccolo portafoglio, un mascara e un rossetto.
“E la croce armena?”. La voce di Contarini è un sussurro.
La donna alza lo sguardo verso la Madonna di marmo bianco lassù, sulla cupola della basilica. “Non so di che parli.”
“Ma davvero?"
“Che vuoi che ti dica, tenente. Nic recisa, recedit”.
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