sabato 7 marzo 2009

Rossana Girotto ci regala uno dei suoi racconti.

Benvenuta Rossana, la sua quasi magica presenza si materializza nel blog così come in studio prendendo le forme dei suoi racconti sempre molto caratteristici e personali.
A tema Angeli stasera ecco la sua perla birichina dedicata ai nostri lettori/ascoltatori:

SONO UN ANGELO
Rossana Girotto
Sei un angelo.
La sua voce è un sussurro tra i miei capelli, accompagnato da un bacio schioccante nell’orecchio. Io giro il viso dall’altra parte e fisso il muro bianco, pulito, senza un quadro. Abbiamo appena fatto l’amore e sento il sudore raffreddarsi sulla mia pelle sotto le lenzuola di questo letto da motel. Non so perché l’ho fatto, l’ho fatto anche se lui prima mi ha detto che sposerà l’altra, aspettano un figlio, è ora di farsi una famiglia e dunque la sposerà, ma non ti devi preoccupare, mi ha detto, tra noi non cambierà nulla, io ti vorrò sempre, ti desidero, potrei essere il tuo amante per tutta la vita. Massì, sapevo già come stavano le cose, gli uomini fanno sempre così e in fondo nemmeno io sono libera, con quel figlio che mi avanza e che devo mantenere mentre i nonni lo coccolano. Forse ho fatto male a restare, sarei dovuta scappare prima, mandarlo via, dirgli allora va da lei, và. Invece sono rimasta, sono andata avanti, non so perché l’ho fatto. O forse sì. Sono un angelo, io.
Lui mi accarezza la schiena, mi bacia le spalle e poi il mio punto più sensibile, appena sotto le scapole. All’attaccatura delle ali. Dovrei voltarmi e regalargli un sorriso, ma non ce la faccio, proprio non me la sento. Fisso il muro bianco, pulito, senza quadri e guardo il film della mia vita. Mi vedo bambina, in un vestito candido, avevo solo abiti bianchi tanto non mi sporcavo mai anche quando rotolavo nei campi vicino alla casa di mia nonna, anche quando mangiavo il gelato di cioccolato nell’accecante sole estivo, anche quando stavo seduta tra le ragnatele in soffitta, affacciata alla finestra più alta della casa e sognavo un vecchio aereo scalcagnato che si avvicinava, e l’aviatore che sporgeva la mano e mi diceva “vieni”.
Aspettavo sempre quell’aviatore, stavo lì, seduta in soffitta in uno dei miei vestiti bianchi a rimirare il quadrato di cielo. Aspettavo di volare via, e intanto mi rotolavo giù nell’erba di una vecchia trincea e correvo con le braccia aperte come ali. La vita mi ha portato in una casa costruita ai confini di un aeroporto, e io sempre alla finestra a guardare in su, i boeing d’argento che si alzano sopra le nuvole e nessun aviatore visibile, nessuna mano a sporgersi, nessuna voce “vieni”. Allora ho pensato che forse potevo farcela, a volare da sola. Andavo all’aeroporto e ascoltavo le voci e, non so come, entravano tutte dentro di me e ci rimanevano. 
Imparavo, da tutte quelle voci che parlavano inglese, francese, spagnolo, russo, finchè un giorno andai in un ufficio, io con i miei abiti bianchi e una donna in uniforme, con gli occhi severi colore del cielo, mi disse “vieni”. Lei è un angelo. La voce della signora mi giunge in un singhiozzo mentre le pulisco la bella gonna firmata dal suo stesso vomito, le porgo un fazzoletto per asciugarsi le lacrime e controllo che abbia allacciato bene la cintura di sicurezza. 
Sei un angelo, tesoro. La voce dell’ostetrica sovrasta il pianto del mio bambino nella sala parto, e lei mi stringe le mani perché sono stata brava, ho spinto, respirato come da manuale e non ho gridato, mai. Mai, nemmeno mesi prima, a casa, quando l’ho abbracciato e gli ho detto di nostro figlio e lui mi ha risposto non sono tagliato per fare il padre. Sei un angelo. La voce di mia madre ha un tremito di rabbia e uno di orgoglio mentre le dico che andrò avanti comunque.
Stacco gli occhi dal muro bianco, pulito, senza un quadro. Lui si è alzato e si sta facendo la doccia. Non sia mai che la sua nuova famiglia senta il mio profumo d’angelo.
Io mi vesto, velocemente, lingerie bianca sotto la divisa. La camera è al primo piano, mi affaccio alla finestra e guardo in su il mio cielo che mi aspetta. Anche la mia macchina mi aspetta, sotto, nel parcheggio. La mia. Perché guido sempre io, fin qui, fino a questo motel così isolato, così lontano da casa sua. Da lei. Lei che sposerà , ma io non mi devo preoccupare.
Scavalco. Butto giù le scarpe, che non si rovinino troppo, e la borsa, con cautela, sopra un cespuglio appassito d’azalee. Mi giro un attimo verso il bagno, lui è ancora dentro, che canticchia, soddisfatto. Non è un gran salto, fin giù, fino alla macchina. Dovrà spiegarle che cosa ci faceva in questo motel alle due di notte, chi ce l’ha portato. Non è un gran salto. E’ un piccolo volo, per me. Sono un angelo, io.
R.G.

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