sabato 12 dicembre 2009

Un lupo mannaro longobardo ad Orta


Nacqui il settimo anno dopo la grande migrazione. Era la mezzanotte del venticinquesimo giorno del mese di dicembre. Giorno infausto, insinuò qualcuno dei nostri servi romani. Sfortunato davvero, perché mio padre frustò loro e diede a me il nome di Agilulf, che nella lingua degli Uomini dalla Lunga Barba significa Lupo Spaventoso.
Destino segnato il mio. A quindici anni combattevo al servizio del Duca Meinulf, tra i suoi Guerrieri Lupo. Indossavo la pelle appartenuta a mio padre, morto in battaglia cinque anni prima. Quando noi scendevamo in campo si spargeva il panico. Sgozzavamo i nemici, avidi di placare la nostra sete con il sangue delle loro ferite.
Un giorno, improvvisamente, venne la condanna del Re contro il Duca. L’accusa era tradimento, la sentenza era la morte. Il Duca l’accettò. Io, unico tra i suoi, la rigettai. Fuggii dalla fortezza dell’isola, inseguito da quelli che erano stati i miei compagni.
Odiato, bandito, braccato, mi rifugiai nelle grotte che si diceva fossero infestate dalle streghe. Lì supplicai Votan, il dio stregone, di darmi la forza del lupo di cui portavo la pelliccia. Il sole tramontò, la luna si alzò nel cielo e dalla mia gola uscì un ululato che fece rimbombare la montagna. Mi spinsi fuori, nelle tenebre, e fu strage di quanti mi davano la caccia.
Vagai per anni, senza meta, sbranando galline, pecore, maiali, buoi, cavalli ed esseri umani. Di giorno le mie membra e la mia mente tornavano umane, ma la notte era diverso. Erano artigli e zanne e caccia selvaggia e odore inebriante a guidare i miei passi. Il mio scopo era placare a morsi la fame che mi divorava. Talora però, sotto la luna lattiginosa dei pleniluni autunnali, indulgevo ad un odioso languore e mi offrivo alle streghe come destriero verso il loro sabba.
Finché un giorno il Re decise di dare ascolto ai lamenti dei suoi sudditi o, piuttosto, si rese conto che la mia ribellione oltraggiava la sua autorità. Così mi mandò contro molti cacciatori. Alla fine uno fu sufficientemente fortunato da uccidermi, ma non abbastanza saggio da consegnare il mio corpo al fuoco.
Rinacqui sei notti dopo la mia morte. Le mie mani spostarono il masso che sigillava il mio cadavere e i miei occhi di non morto videro nuovamente la luna. Ora non era più mannara fame di carne: era sete di sangue quella che muoveva nell’eterna notte i miei primi passi da vampiro.

Nota

Il racconto prende le mosse da un fatto storico: l'invasione longobarda dell'Italia nel VI secolo d.C. Il duca Meinulf (o Mimulfo) visse realmente sul Lago d'Orta e venne giustiziato per alto tradimento nel 590 d.C.
Tra i Longobardi, gli "Uomini dalle lunghe barbe", di stirpe germanica, pagani e devoti al dio Wotan (Votan nel racconto) militavano speciali guerrieri vestiti con pelli di lupo, che di questi animali imitavano il comportamento durante il combattimento.
Secondo la leggenda potevano diventare Lupi Mannari gli stregoni (specie se nati la notte di Natale) o coloro che indossavano pelli di lupo stregate. Si credeva anche che uno stregone che in vita era stato lupo mannaro dopo la morte potesse risorgere come non morto. Come vampiro, insomma…

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