domenica 27 dicembre 2009

Viola Vive: seconda parte

Da cosa è nata l'idea dell'Associazione Culturale Viola?

L’Associazione è nata nell’estate del 2004 da un gruppo di amici, legati a Viola sia perché paese natio sia perche affezionati e da anni frequentatori di Viola; quell’anno si svolgevano le elezioni amministrative e, visto l’esito negativo del risultato elettorale si è pensato di fare qualche cosa di concreto per il paese formando questa nuova associazione, anche perché, all’epoca la pro loco, era poco efficiente.

Come si è sviluppato questo progetto e come è organizzato?

Dopo alcune riunioni, si è formata l’associazione con 12 soci fondatori e si è pensato ad una prima festa dell’associazione al fine di farci conoscere e promuovere gli scopi di promozione e sviluppo del nostro paese come trascritto nel nostro statuto. Il progetto di promozione turistica e valorizzazione del territorio si è aperto nello stesso autunno ’04 con una manifestazione legata ad una castagnata “ Colori e sapori d’autunno”, oggi siamo alla sesta edizione e si svolge la seconda domenica di ottobre. L’organizzazione interna prevede il Consiglio direttivo composto da 7 membri più il segretario, all’interno del consiglio sono eletti il Presidente e vice presidente. L’assemblea dei soci, ad oggi circa 230, è convocata duo volte l’anno una a gennaio per approvare i bilanci consuntivi e preventivi ed il programma di massima dell’associazione ed una seconda volta ad agosto in coincidenza con la festa dell’associazione (attorno al 20) come incontro e confronto tra tutti i soci.

Che difficoltà avete incontrato?

Le difficoltà essenzialmente si dividono in due parti:

· la prima di carattere economico è nel reperire fondi per la realizzazione delle manifestazioni … ad oggi non possiamo lamentarci in quanto siamo riusciti a realizzare tutte le attività previste.

· La seconda è riferita all’organizzazione e gestione dell’associazione e quindi a persone disponibili a collaborare e portare il loro contributo sia di tempo che di mano d’opera


mercoledì 23 dicembre 2009

UN GRANDE AUGURIO A TUTTI GLI ARTISTI DI SIAMO IN ONDA


Per Natale, e soprattutto per il nuovo anno che sta arrivando, La Poetrice vuole dedicare una poesia a tutti gli amici che collaborano a Siamo In Onda, anime scintillanti d'Arte che insieme hanno dato vita a Parole al Vento. PuntoRadio è una grande radio veramente libera, dove i pensieri, la musica, le parole e perfino le immagini possono esprimersi e brillare di luce propria, in amicizia e libertà.

La stessa libertà, indipendenza e coraggio che il grandissimo W.B.Yeats ci regala con questa poesia. E io la voglio regalare a tutti voi, perchè il valore di ogni artista del nostro gruppo non conosca limiti, confini, restrizioni. Proprio come a PuntoRadio!


IL MANTELLO


Feci al mio canto un mantello
tessuto con i ricami delle antiche mitologie,
dai piedi fino al collo.

Ma gli stolti lo presero per loro
lo indossarono
quasi che loro l'avessero cucito.

Canzone, lascia pure che se lo tengano
perchè
ci vuole più coraggio
a camminare nudi.
AUGURI!
Rossana

martedì 22 dicembre 2009

Viola Vive: prima parte

Un colore intenso, oggi attualissimo, come l'attività dell' Associazione culturale,
con valenza di pubblica utilità sociale, "Viola Vive" , con sede in un paese del Cunese, chiamato Viola....ne parliamo meglio con chi ne fa parte.

lunedì 21 dicembre 2009

ARRIVA LO SPAZZACAMINO!


Siamo in Onda è “ il salotto di PuntoRadio ”. E in un salotto che si rispetti, così pieno di calore e amicizia come il nostro, poteva mancare un camino?
E dove c’è un camino… ci deve essere anche uno spazzacamino: come potrebbero, altrimenti, entrare in casa e portarci i loro doni Babbo Natale e La Befana? E così, sabato 19 dicembre abbiamo avuto un ospite davvero particolare: Alberto lo Spazzacamino!
Alberto Pianalto, che vive in provincia di Udine, ci ha raccontato quello che è la sua professione, tra storia e tecnologia. Facciamo un riassunto per condividere quello che ci ha raccontato, e molte altre informazioni, con foto e video, le trovate sul suo sito: http://www.albertospazzacamino.com/
Lui ha iniziato a vent'anni, scegliendo un lavoro che a prima vista mette in luce subito i lati più sgradevoli, come sporcarsi di fuliggine e rischiare la vita lavorando sui tetti. Tutto è cominciato con suo padre Franco, costruttore, riparatore ed installatore di caminetti e spolert. Quando il papà decide di andare in pensione, Alberto preferisce tentare la strada dello "spazzacamino" : in effetti già da tempo eseguivano pulizie di canne fumarie per i clienti, quando il camino ormai intasato non funzionava più bene come prima. Cosi, poco a poco, quello che era più una cortesia e spesso una seccatura (senza una specifica attrezzatura è difficile tenere a bada la fuliggine) è diventata un mestiere. Oltre al padre che gli ha trasmesso l'esperienza e la passione per il lavoro ben fatto, importantissimo è stato l'incontro con l'A.N.FU.S. con la quale ha frequentato diversi corsi di aggiornamento, confrontandosi con altri spazzacamini provenienti da tutta Italia. Così questo mestiere con il suo lato romantico è diventato il suo lavoro da più di 15 anni.
Nell'immaginario collettivo sentendo la parola spazzacamino viene in mente il film di Mary Poppins, con la figura romantica di Bert (proprio il diminutivo di Albert!) il simpatico spazzacamino che vive la vita giorno per giorno.
Per molti lo spazzacamino è una persona non più giovane che senza troppo ingegno si adatta con un lavoro sporco e umile per arrivare alla fine di ogni giornata accontentandosi di aver avuto un pasto caldo e di poter dormire in una stalla. Ma neanche così si può semplificare, anche se già più aderente alla realtà, infatti la nascita, la scomparsa e la rinascita del mestiere dello spazzacamino in Italia è un fenomeno complesso che merita un racconto più dettagliato perche mette in luce certi aspetti del passato delle genti italiane che oggi non si vuole ricordare. Una delle prime testimonianze del mestiere di pulire i camini risale ai primi del 1600 con un premio conferito ad un ragazzo che incaricato di pulire una canna fumaria nel palazzo reale sbaglia camino finisce in un’altra stanza ed ascolta una conversazione che ha come oggetto l'assassinio del Re, sventando il complotto si guadagna un posto nella storia, era un ragazzo immigrato in un altro paese a fare un lavoro umile. Era un ragazzo italiano. l'Italia è stata per molti anni un paese d'immigrati, che vanno e che vengono, molti sono andati in Germania a fare proprio gli spazzacamini, lavoro che i tedeschi non volevano più fare. Un'altro immigrato italiano tale Pietro De Zanna nel 1779 inventa in Austria il prototipo del moderno calorifero, installandolo nel palazzo reale. La pulitura veniva fatta per lo più a mano arrampicandosi all'interno delle canne fumarie e grattando con un ferro ricurvo la fuliggine, molti erano bambini che giunti in cima dovevano gridare “spazzacamino!” o sventolare il braccio fuori dal comignolo a riprova che la pulitura era stata eseguita in tutta la lunghezza della canna.
Le condizioni generali erano al limite della sopravvivenza, sporchi affamati e impauriti saltuariamente ricevevano un pò di cibo o dei vestiti vecchi dai clienti impietositi. Grazie alle Società di Patronato nate con l'intento di porre rimedio alle disumane condizioni in cui venivano condotti questi bambini, dal 1870 circa ci fu un minimo di assistenza con indumenti e pasti caldi, cercarono d'insegnare a leggere e scrivere la domenica, alcune organizzazioni a Milano proposero anche delle regole a tutela dei più deboli offrendo assistenza sanitaria con un fondo malattia creato appositamente, ma per il rovescio della medaglia questi aiuti attirarono in città numerosi spazzacamini dalle periferie, il lavoro cominciò a scarseggiare e la concorrenza divenne ancora più feroce, così i diversi gruppi si ritrovarono a lottare per il dominio di questo o quel quartiere.
Qualche risultato più concreto lo ottennero le varie opere religiose talvolta ispirate proprio a favore dei piccoli spazzacamini, che si riproponevano di far studiare i bambini con corsi serali, e naturalmente educarli al catechismo.
In seguito alle numerose iniziative laiche e religiose, ai tentativi di cooperazione tra i vari spazzacamini, al miglioramento generale delle condizioni sociali dei lavoratori la situazione andò migliorando, ma il problema dello sfruttamento infantile scomparve effettivamente di pari passo alla diffusione sul territorio dei nuovi sistemi di riscaldamento, nafta gasolio e gas. Certo non fu un cambiamento repentino ma dal dopoguerra in poi la richiesta di pulitura dei camini diminuì, così che gli spazzacamini dovettero rivolgersi a nuovi mestieri, oppure spostarsi su lunghe distanze, cosa poco adatta ai bambini, molti divennero girovaghi solitari, alcuni ebbero fortuna, molti semplicemente si arrangiarono con altro.Fino agli anni settanta ancora qualche impresa di spazzacamino resistette, perché comunque le caldaie alimentate a carbone o combustibile liquido andavano pulite regolarmente, ma dopo il definitivo affermarsi del gas metano quasi tutti gli spazzacamini sparirono e il mestiere almeno in Italia sembrò scomparso.
Con lo sviluppo tecnologico dei moderni impianti di combustione della legna, lo spazzacamino è diventato sempre più un tecnico, si qualifica investendo il proprio denaro in corsi sulle normative europee ed italiane e sugli aspetti tecnici del suo lavoro, dotato di attrezzature sofisticate realizzate con materiali di recente innovazione, di micro telecamere appositamente costruite per infilarsi nei camini che con il tempo sono diventati sempre più piccoli,ha perso parte del lato romantico per acquistarne in professionalità .
Ormai è distante anni luce dal personaggio che alcuni ricordano, molti anni fa, d'aver visto girare per i paesi con una bicicletta mezza scassata con il pungitopo sul porta pacchi e le aste di legno legate alla canna.Tuttavia alcuni continuano a lavorare in divisa, anche se non è più necessario lo stemma per dividersi le zone delle città è molto comoda per riparasi dalla fuliggine ma soprattutto mantiene viva una tradizione, quella della figura romantica dello spazzacamino, che nata dalla miseria e dallo sfruttamento si prende oggi la sua rivincita in un mestiere diventato una professione della quale non se ne potrà più fare a meno.
E bravissimo il nostro Alberto, al quale noi simpaticoni non abbiamo risparmiato l'ovvia battuta: “scommettiamo che di questi tempi ci sarà qualcuno che infila un panettone nel camino e poi ti grida buttati, che è morbido!”
Grazie ad Alberto e a tutti gli spazzacamini d’ Italia!

sabato 19 dicembre 2009

Viola, ovvero giallo... anzi, noir...

La parola di oggi è semplice, ma identifica molte diverse realtà. Viola è un termine che giunge dal latino e, più precisamente, proprio da viòla e indicò per prima cosa due fiori, sia la viola mammola sia la viola ciocca. Appartiene allo stesso ceppo di vière (ovvero annodare, intrecciare) e, da qui, prende anche il senso di essere pieghevole, flessuoso.

Ovviamente, da questa parola deriva anche quella che identifica il colore (un misto fra il rosso e il turchino carico). Giunge sempre da latino, ma questa volta la tinta veniva identificata dal termine viòlaceus.

Da citare poi, e non si potrebbe fare altrimenti, anche il termine viola che dà nome allo strumento musicale, a corde e in chiave di basso, che si suona con con l'archetto. C'è sempre il latino di mezzo, diciamo così, ma questa viola arriva da vìtula (o vìdula) e riporta al classico vitulàri, cioè ballare, rallegrarsi. Fa un po' sorridere, ma vitùlari era usato soprattuttoper indicare lo sgambettare del vitello.

Per qualcuno, comunque, nel caso dello strumento musicale c'è un però importante e che trovo giusto segnalare: viola e violino potrebbero arrivare dall'antico scandinavo e non dal latino. Sarebbe fidhla, in questo caso, la derivazione più corretta.

Ecco i libri più venduti in Italia la scorsa settimana. Si capisce che Natale è oramai alle porte...

5) L'isola sotto il mare, Isabel Allende (Feltrinelli, eur 19,50)
4) Cotto e mangiato, Benedetta Parodi (Vallardi, eur 14,90)
3) Il simbolo perduto, Dan Brown (Mondadori, eur 24,00)
2) Il peso della farfalla, Erri De Luca (Feltrinelli, eur 7,50)
1) Il tempo che vorrei, Fabio Volo (Mondadori, eur 18,00)

Qualche consiglio di lettura noir
I tuoi occhi viola (di Stephen Woodworth)
Un mondo dove, per ogni generazione, nascono individui con gli occhi viola. E' inquietante, ma non abbastanza: queste persone hanno anche la capacità di parlare con i defunti. Alcuni vengono usati per aiutare la comunità a crescere culturalmente, entrando in contatto con i geni del passato, altri aiutano la polizia a risolvere crimini efferati. A un certo punto, però, qualcosa sconvolge le carte in tavola: spunta un serial-killer che uccide proprio gli individui dagli occhi viola e riesce sempre a nascondere la propria identità...
Euro 7,90 - Pagg.336 - Fanucci

Chi ha rubato il basilisco viola? (di Allan Bay e Vanni Manuela)
Questo libro è la seconda indagine di Gabo, un cuoco davvero stravagante e famoso. Come in tutti i gialli degni di questo nome, ecco la brutta sorpresa: questa volta, qualcuno ha rubato il fantastico basilico viola. Questo libro si può leggere dai da 10 anni in su ed è il secondo di una serie in cui spiccano anche Il mistero delle lische scomparse, Invito a sorpresa e Il segreto del cioccolato. Un regalo consigliato per Natale, magari al posto del solito Tamagotchi...
Euro 7,50 - Pagg.127 - Salani

Giallo viola (di Andrea Ballarini)
Un giallo avvincente, protagonisti Casanova, il cinema e l'amore. Un mistery storico e, cosa apprezzata soprattutto dalle lettrici, un'appassionante storia d'amore. Spiritoso e intelligente, si legge d'un fiato e non si scorda in fretta. Chi ama le città d'atmosfera e i personaggi intriganti lo apprezzerà senz'altro.
Euro 12,50 - Pagg.289 - Lupetti

Sole e fuoco (di Viola Serena)
Qualcosa di viola c'è anche qui, ma solo nel nome dell'autrice... E' la protagonista, questa volta, a raccontarci la trama. "Amavo un vampiro... Che razza di spiegazione razionale avrei mai potuto trovare...? Nessuna. Meglio lasciare tutto così. Meglio attendere che qualcuno, un giorno, si decidesse a mettermi al corrente di tutta la storia, sciogliendo così ogni mio dubbio. E quel giorno sarebbe mai arrivato? Avrei mai saputo tutta laverità? Avrei mai compreso l'impossibile? Forse. Ma io sapevo che Victor non sarebbe rimasto con me. C'era qualcosa che glielo impediva, qualcosa che lui non mi avrebbe mai detto e che io non potevo chiedergli. Faceva parte del nostro maledetto patto...".
Euro 15,00 - Pagg.260 - Zerounoundici
Un 19 dicembre davvero affollato di compleanni letterari. Tra i tanti, con un po' di fatica ne ho scelti due.

Il primo a cui faccio gli auguri è lo scrittore Italo Svevo che oggi spegne 148 candeline. Italo Svevo, per chi non lo sapesse, era lo pseudonimo di Aron Hector Schmitz con cui lo scrittore triestino ha firmato molti racconti e romanzi tra i quali il famosissimo "La coscienza di Zeno" dove uno psicanalista pubblica "per vendetta" le lettere di un suo paziente.

I miei auguri vanno poi anche a Jean-Patrick Manchette che compie 67 anni. Sceneggiatore, critico, traduttore e jazzista, nacque a Marsiglia e morì a Parigi a soli 53 anni. Ha utilizzato, per le sue storie molto noir e abbastanza cattive, anche lo pseudonimo Pierre Duchesne e i suoi romanzi, che vi consiglio, sono oggi editi in Italia da Einaudi.

Live a Siamo in Onda

Ultima puntata del 2009 di Siamo in Onda il salotto radiofonico del sabato sera di Puntoradio. E grandi ospiti della serata sono in Sing 4 Joy, gruppo gospel novarese.








Ecco le foto della serata.

Da Viola a Violetta

Ho pensato di rendere omaggio al "Viola", tema di questa puntata di "Siamo in Onda", con due contributi videomusicali tanto diversi tra loro.
"Comprami, io sono in vendita e non mi credere irraggiungibile" così sussurrava nel 1979 un'affascinante Virginia Minnetti meglio nota come Viola Valentino.



Un'altra Viola, anzi Violetta, è la protagonista della "Traviata", la più significativa opera di Giuseppe Verdi. Ecco il celebre "Amami Alfredo" qui in un'incisione del 1955 per l'ineguagliabile voce di Maria Callas.

Violetta e il Carnevale


C’era una volta nella città di Ivrea una bella mugnaia di nome Viola, che tutti chiamavano affettuosamente Violetta, come il fiore che aveva il colore dei suoi occhi. Un giorno un giovane si innamorò di lei e la chiese in sposa.
Era quello che attendeva il feroce feudatario che tiranneggiava la città. Egli, da tempo segretamente innamorato della ragazza che respingeva sdegnosamente i suoi omaggi, riesumò un’antica legge o meglio un antico sopruso, chiamato jus primae noctis.
Era il diritto del feudatario a trascorrere la prima notte di nozze con la giovane sposa, un diritto normalmente soddisfatto con un piccolo dono da parte della futura sposa, poco più di un omaggio, come un frutto o un dolce fatto in casa.
Ma Ranieri di Biandrate era un uomo feroce, la cui lussuria era famosa in tutto il Piemonte: giammai si sarebbe accontentato di un piccolo dono giacché egli voleva il corpo di Violetta e l’avrebbe avuto, come la legge gli consentiva.
Violetta, sapendo che il fidanzato avrebbe cercato di uccidere il crudele Ranieri e probabilmente sarebbe morto nel tentativo, accolse la richiesta e si recò per pagare quanto richiesto. Entrò nella camera di un eccitatissimo Ranieri e lo convinse a mettersi a letto, dove l’avrebbe raggiunto non appena si fosse liberata delle sue vesti. Quindi spense pudicamente le luci e, estratto il pugnale che portava infilato nella giarrettiera, spaccò in due il cuore di Ranieri.
La morte del Tiranno fu il segnale dell’insurrezione: le campane cominciarono a suonare ed il popolo impugnò le armi e cominciò a bersagliare di pietre gli uomini di Ranieri che sui carri cercavano di lasciare la città, riparandosi come potevano da quella sassaiola.
Ancora oggi, per ricordare quell’evento il podestà della città getta dal Ponte Vecchio una pietra del Castellazzo come monito per i tiranni antichi e futuri. E subito si scatena per le vie della città una feroce battaglia a colpi di arance tra gli uomini di Ranieri, protetti dalle armature e arroccati sui carri, e il popolo che si assiepa tutto attorno bersagliandoli e venendo bersagliato dagli agrumi.
È il Carnevale della città di Ivrea a cui assiste, ogni anno, la bella Violetta.

mercoledì 16 dicembre 2009

Siamo in Onda 19 dicembre "qual è la cosa più viola che hai visto?"


LA LEGGENDARIA PIETRA VIOLA: L’AMETISTA
Con un marito geologo mineralogista e un negozio di minerali, fossili, pietre e gioielli, è chiaro che la cosa più viola che io abbia mai visto e che continuo a vedere, per la verità, quotidianamente, è l’ametista. Geodi, punte, gemme tagliate e montate su anelli, orecchini, collane…
Questa pietra è conosciuta e apprezzata fin dalla notte dei tempi, associata a magia e mistero, ma soprattutto alla spiritualità. L’ametista è la gemma che orna gli anelli degli alti prelati (vescovi e cardinali) e non è un caso. In cristalloterapia le druse di ametista vengono usate per la purificazione delle altre pietre e degli ambienti. Aiuta il sonno e stimola i sogni. I cristalli singoli posizionati sul sesto chakra (o terzo occhio) aiutano a ridurre le emicranie, stimolano la consapevolezza spirituale e il rilassamento.
L’ametista favorisce ispirazione ed intuizione, ed è la pietra ideale per la meditazione e l’introspezione.

La leggenda che accompagna questa pietra è piuttosto intrigante: Ametista era infatti una ninfa del corteo della dea Diana, dea particolarmente sensibile al tema della castità. Di tale ninfa, in un momento di estasi etilica, si invaghì Bacco che iniziò così ad inseguirla per possederla. La ninfa chiese aiuto alla sua signora la quale per proteggere, non tanto la vita, quanto la castità della ninfetta, la trasformò in gelido cristallo di quarzo.
Riavutosi dalla sbornia, il dio Bacco si commosse della fine della piccola ninfa e così le diede il colore del vino e la proprietà di preservare dei ed umani dagli eccessi delle ubriacature. Tra i ricchi (soprattutto nella Roma imperiale) comparve quindi il vezzo di immergere un anello di ametista nel bicchiere di vino prima di bere. Dato che all'epoca tale gemma era rara e preziosa, e questa usanza era in voga solo tra i potenti, l'anello di ametista, venne presto considerato un simbolo di potere. L'usanza che i potenti di Roma avessero un anello di ametista si radicò così tanto tra il popolo che tale simbolo venne utilizzato più tardi dalla chiesa cattolica romana per esprimere autorità. Ancor oggi tale anello fa parte del corredo vescovile.
Sempre dal punto di vista storico, va anche ricordato che sette delle dodici gemme del Razionale (un pettorale sacro portato dagli antichi sacerdoti ebraici) ognuna delle quali rappresentava una qualità del Dio, erano varietà di quarzo, materiale del gruppo della silice: la sardonica, il citrino, il diaspro, la corniola, l'ametista e l'onice.
Il mio caro Oscar Wilde, affascinato dai riti e dall’esteticità della religione Cattolica (ma non si convertì mai nonostante avesse ventilato l’ipotesi più volte nella sua vita) portava un anello con ametista all’anulare destro. Nel suo “ Il ritratto di Dorian Grey” racconta la passione per le pietre preziose e in particolare per la viola ametista, che il protagonista vive a un certo punto della sua esistenza lussuriosa ed esteta.

Hasta la fin del mundo... in Vespa!


Il libro
16 dicembre 2005: dopo un avventuroso viaggio di oltre 4.500 chilometri una singolare spedizione raggiunge Ushuaia, la città più australe del mondo, all’estremo sud della Tierra del Fuego. Di ventiquattro Vespa partite da Buenos Aires solo ventidue riescono nell’impresa di attraversare la Pampa e la Patagonia lungo la Cuarenta, "spina dorsale" dell’Argentina, una secolare strada in terra battuta che si snoda ai piedi delle Ande e che, ancora oggi, rappresenta una vera e propria sfida per chi vi si avventura: la leggendaria Ruta 40. Una sfida a bordo di un fuoristrada, una follia in sella a delle Vespa.
Una storia vera raccontata tra le pagine di "Hasta la fin del mundo... in Vespa!", il libro di Lorenzo Franchini di cui vi riproponiamo l'intervista in quattro parti. È la cronaca on the road della straordinaria esperienza vissuta dall’autore insieme a un gruppo di improbabili "raider patagonici" che nella vita sono artigiani, meccanici, impiegati, padri di famiglia, studenti.









L'autore
Lorenzo Franchini (Varese, 1963) vive e lavora a Induno Olona. Non è un consumato avventuriero e nemmeno un giramondo di professione. È una persona a cui piace viaggiare in sella alla sua Vespa, sempre la stessa dal 1981. Nell'ambiente vespistico del Web è conosciuto col nickname di Lorenzo205. Ha ideato e realizzato "Chilometri di parole in Vespa", una rassegna virtuale dedicata alla letteratura vespistica ed è moderatore del forum "Viaggi" di "Vespaonline", il più importante website italiano dedicato a questa inarrestabile due ruote dall’indubbio fascino.

Se volete saperne di più, questo è il suo sito internet: findelmundovespa

martedì 15 dicembre 2009

Un augurio speciale: Un altro bianco Natale!

Come ben sa chi ci segue sulle frequenze di Puntoradio, ogni settimana ospitiamo cantanti indipendenti che presentano le loro canzoni live. Nella scorsa edizione abbiamo ospitato i Motorino di Nicola, band milanese nata sul finire degli anni novanta.
Della loro canzone di Natale è stato appena realizzato un video molto carino che pubblichiamo qui sotto.
Un grazie speciale ai Motorino di Nicola, che (questo lo possiamo già anticipare) torneranno presto a trovarci in studio.

sabato 12 dicembre 2009

Vampiri gialli e licantropi noir... ma anche il contrario


La parola vampiro, a noi italiani, giunge dal tedesco vampyr, ma la vera origine di questo termine è serba. Nell'Europa dell'est, infatti, identifica nelle superstizioni popolari gli Esseri chimerici che lasciano le proprie tombe per succhiare il sangue di quelli viventi. Oggi, dalle nostre parti con sempre maggior frequenza, purtroppo, descrive anche le persone accusate di arricchirsi con guadagni illeciti a spese del prossimo. Lo scrittore che per primo ha romanzato la leggenda dei vampiri è stato l'irlandese Bram Stoker: più che celebre il suo 'Dracula'.

Licantropo, invece, deriva dal greco e fonde insieme lýkos (lupo) e ànthropos (uomo). È detto anche uomo-lupo o lupo mannaro ed è una delle creature più mostruose della mitologia e del folclore. La letteratura e il cinema horror, comunque, l'hanno fatto proprio senza perdere troppo tempo. Per la leggenda, il licantropo è quindi un uomo costretto a trasformarsi in belva feroce ogni qual volta, nel cielo, appare la luna piena. Di licantropi si racconta da sempre, addirittura lo scrittore romano Petronio nel suo prosimetro (un componimento misto di prosa e versi) 'Satyricon'.

Al solito, controlliamo come si è mossa la classifica dei libri più venduti in Italia nell'ultima settimana.
Un solo, quasi deludente scossone, mi dispiace. Il terzo e il secondo classificato della scorsa settimana si sono scambiati la posizione, quindi Alessandro Baricco con Emmaus (Feltrinelli) scende di un gradino per fare spazio a Niccolò Ammaniti con Che la festa cominci (Einaudi). Al primo posto, piantato per terra come una quercia, ancora una volta Dan Brown e Il simbolo perduto (Mondadori).

Le mie previsioni di sette giorni fa, poi, si sono rivelate inesatte perché Fred Vargas e Andrea Camilleri, rispettivamente quarta e quinto e che avevo dato possibili scrittori da podio sotto Natale, invece di salire sono scesi. La Vargas, infatti, scivola in ottava posizione, mentre il giallista-tabagista addirittura in decima. A tallonare i primi tre, questa settimana, due gradite sorprese: Licia Troisi con il fantasy La figlia del sangue al quarto posto e Wu Ming (uno pseudonimo che nasconde un gruppo di scrittori italiani) al quinto con Altai.

Qualche consiglio di letteratura noir

Il sangue nero del vampiro (di Valerie Stivers)Kate è una studentessa che lavora presso una rivista di moda. Dopo le prime umiliazioni delle colleghe e della direttrice, la ragazza si ritrova all'improvviso di fronte a una rivelazione terrificante: l'intero staff della rivista sembra essere composto solo da vampiri. Incredula, decide di investigare con l'aiuto di un'amica. In effetti, qualche strana abitudine c'è e, grazie alla propria astuzia, Kate scoprirà la verità. A questo punto, la cosa più prevedibile accade: non si può lasciare in vita un testimone che diffonderebbe la notizia. La giovane, però, porta a casa la pelle, ma viene costretta ad allearsi con i colleghi vampiri per aiutare, con le sue doti di essere umano, queste forze sovrannaturali impegnate nella loro assurda vita.
Euro 9,90 – Pagg.327 - Newton Compton
I seguaci del vampiro (di Wolfgang Hohlbein)Un serial killer non basta più: adesso serve anche un assassino che sia pure un vampiro. Otto delitti, otto ragazzine assassinate, in sintesi un caso terribile affidato alla giovane detective Conny. La polizia, come si dice spesso, brancola nel buio finché una mail firmata da un certo Vlad le dice di avere preziose informazioni. Da questo momento, inizia la caccia al vampiro in una lotta senza esclusione di colpi. Potrebbe anche finire qui, ma a questi libri servono tante, tantissime pagine e allora la paura che azzanna la detective diventa terrore: anche la nostra eroina, infatti, si scoprirà nella lista dell'assassino...
Euro 12,90 – Pagg.475 - Newton Compton
Lunaris, dal diario di un licantropo (di D.F. Lycas)Lika non è più soltanto un essere umano perché, durante un incontro amoroso, ha stretto in modo inconsapevole un patto di fratellanza col mondo dei lupi mannari. Ora, quindi, è vittima di un morbo dal quale non si può guarire e si trova a dover gestire anche il proprio alter-ego che, durante le notti di luna piena, lo fa agire senza alcun controllo. Lika cerca di fuggire per salvarsi da se stesso, ma un destino beffardo lo trasforma da predatore a preda. Lo sfondo è una metropoli grigia, indefinibile, la storia è quella di un'involontaria creatura costretta a compiere una scelta definitiva sia di vita sia di morte.
Euro 14,00 – Pagg.160 – Todaro
La maledizione del licantropo (di Darren Shan)Al sorgere della luna piena, Grady è diverso: artigli, zanne e fame sanguinaria lo fanno una bestia senza pietà, ma la domanda, dopo qualche pagina, sorge spontanea: diverrà anche lui una vittima della maledizione che sconvolge la sua famiglia o lui riuscirà a combattere e a salvarsi? La posta in gioco è davvero alta, anche perché lo zio più caro è pronto a ucciderlo se sarà necessario. Si può leggere dai 12 anni in su, alla fine non è poi così spaventoso.
Euro 8,80 – Pagg.247 - Mondadori
Per chiudere, ma per restare in tema di magie e misteri, i miei auguri di buon compleanno, questa sera, sono per il signor Michel de Notre-Dame, molto più conosciuto come Nostradamus. Allo scrittore, nonché astrologo e farmacista francese che ieri ha compiuto la bellezza di 506 anni, si devono le famose profezie, ovvero quartine in rima raccolte in gruppi di cento che, per i suoi sostenitori, hanno raccontato in anticipo (grazie alla sua chiaroveggenza) eventi della storia del mondo, dalla bomba atomica all'attacco alle Torri Gemelle alla Rivoluzione francese.

Un lupo mannaro longobardo ad Orta


Nacqui il settimo anno dopo la grande migrazione. Era la mezzanotte del venticinquesimo giorno del mese di dicembre. Giorno infausto, insinuò qualcuno dei nostri servi romani. Sfortunato davvero, perché mio padre frustò loro e diede a me il nome di Agilulf, che nella lingua degli Uomini dalla Lunga Barba significa Lupo Spaventoso.
Destino segnato il mio. A quindici anni combattevo al servizio del Duca Meinulf, tra i suoi Guerrieri Lupo. Indossavo la pelle appartenuta a mio padre, morto in battaglia cinque anni prima. Quando noi scendevamo in campo si spargeva il panico. Sgozzavamo i nemici, avidi di placare la nostra sete con il sangue delle loro ferite.
Un giorno, improvvisamente, venne la condanna del Re contro il Duca. L’accusa era tradimento, la sentenza era la morte. Il Duca l’accettò. Io, unico tra i suoi, la rigettai. Fuggii dalla fortezza dell’isola, inseguito da quelli che erano stati i miei compagni.
Odiato, bandito, braccato, mi rifugiai nelle grotte che si diceva fossero infestate dalle streghe. Lì supplicai Votan, il dio stregone, di darmi la forza del lupo di cui portavo la pelliccia. Il sole tramontò, la luna si alzò nel cielo e dalla mia gola uscì un ululato che fece rimbombare la montagna. Mi spinsi fuori, nelle tenebre, e fu strage di quanti mi davano la caccia.
Vagai per anni, senza meta, sbranando galline, pecore, maiali, buoi, cavalli ed esseri umani. Di giorno le mie membra e la mia mente tornavano umane, ma la notte era diverso. Erano artigli e zanne e caccia selvaggia e odore inebriante a guidare i miei passi. Il mio scopo era placare a morsi la fame che mi divorava. Talora però, sotto la luna lattiginosa dei pleniluni autunnali, indulgevo ad un odioso languore e mi offrivo alle streghe come destriero verso il loro sabba.
Finché un giorno il Re decise di dare ascolto ai lamenti dei suoi sudditi o, piuttosto, si rese conto che la mia ribellione oltraggiava la sua autorità. Così mi mandò contro molti cacciatori. Alla fine uno fu sufficientemente fortunato da uccidermi, ma non abbastanza saggio da consegnare il mio corpo al fuoco.
Rinacqui sei notti dopo la mia morte. Le mie mani spostarono il masso che sigillava il mio cadavere e i miei occhi di non morto videro nuovamente la luna. Ora non era più mannara fame di carne: era sete di sangue quella che muoveva nell’eterna notte i miei primi passi da vampiro.

Nota

Il racconto prende le mosse da un fatto storico: l'invasione longobarda dell'Italia nel VI secolo d.C. Il duca Meinulf (o Mimulfo) visse realmente sul Lago d'Orta e venne giustiziato per alto tradimento nel 590 d.C.
Tra i Longobardi, gli "Uomini dalle lunghe barbe", di stirpe germanica, pagani e devoti al dio Wotan (Votan nel racconto) militavano speciali guerrieri vestiti con pelli di lupo, che di questi animali imitavano il comportamento durante il combattimento.
Secondo la leggenda potevano diventare Lupi Mannari gli stregoni (specie se nati la notte di Natale) o coloro che indossavano pelli di lupo stregate. Si credeva anche che uno stregone che in vita era stato lupo mannaro dopo la morte potesse risorgere come non morto. Come vampiro, insomma…

Marco Franceschini, i vampiri e i licantropi.

VAMPIRI O LICANTROPI? 
QUALI MOSTRI ABITANO LA VOSTRA MENTE?

Il licantropo a me ha sempre fatto molta, molta più paura del vampiro. Se il vampiro, in fondo, era una specie di Silvan con i denti, una specie di "vecchio frac" di Domenico Modugno, con l'incarnato pallido, il licantropo era vero terrore. L'avevo conosciuto, il mio primo uomo-lupo, il mio primo licantropo, per dirla con parole difficili, in quinta elementare, quella maledetta volta che mi è capitato in mano il piccolo ma potente Oscar Mondadori intitolato "Le spiacevoli notti dello Zio Tibia". Non c'ho dormito per mesi, e soprattutto per colpa dei licantropi, quelli che mi facevano più paura. L'ho detto: se il vampiro in fondo era una specie di Fred Astaire che poi, anziché ballare con la Ginger Rogers di turno, se la succhiava, con un certo gusto erotico tra l'altro, il licantropo si trasformava: da persona come le altre assumeva, in determinate condizioni, l'aspetto mostruoso di una enorme, possente belva che sintetizzava uomo e lupo. Ragione e follia, amore e ferocia... Divorante. In tutti i sensi!
Lo Zio Tibia lo ricoirderanno in molti, con quella faccia giallo-verde acido, sulla copertina degli Oscar Mondadori, evocante ancor prima d'aprirla notti insonni...Sapete come me la sono cavata? Avevo dieci anni, e quindi per dormire dovevo assolutamente trovare una forza che contrastasse le creature terribili che si facevano interpreti di mie paure forse inevitabili, legate alla fine dell'infanzia... Bene: ho usato le uniche due cose più potenti di un vampiro, più potenti perfino di un licantropo: la prima è stata l'enciclopedia, sulla quale ho ricostruito le origini della leggenda, del mito dei vampiri, degli uomini lupo; la seconda è stata la... Cinzia. Era la bambina più carina della mia classe, in quinta elementare. L'amavo, e la volevo portare al mare, con una Ferrari. Ecco, il pensiero di andare fino a Jesolo - unica località di mare della quale ero... pratico! - con Cinzia, su una Ferrari spider, rossa... era più potente di qualsiasi cosa. E sul mangiadischi, anzi, "nel" mangiadischi color albicocca avremmo inserito, fino a consumarla, una canzone dei Beatles che quella primavera furoreggiava. "Let il be, let it be...!"
Lascia che sia... Lasciate che sia, quando è il caso!

Marco Franceschini

Live a Siamo in Onda

Decima puntata di Siamo in Onda, il salotto radiofonico del sabato sera di Puntoradio. Ospiti della serato sono gli Stereoplastica.



Vampiri e Licantropi


Il cinema ci ha abituati a considerare vampiri e licantropi (lupi mannari) come due specie sovraumane in eterna lotta tra loro. Questa, occorre dirlo, è una invenzione moderna.
In origine queste figure rappresentavano due aspetti delle paure delle tenebre, della stregoneria e della morte, legate ad antichi tabù (cibarsi del sangue e della carne umana). Non c’è traccia nelle leggende di una rivalità tra le due specie. Semmai ci possono essere talora delle coincidenze e delle alleanze tra queste creature delle tenebre, entrambe nemiche alla specie umana.

I miti sui vampiri sono molto antichi. Già i babilonesi credevano all’esistenza di demoni femminili (Lilitu) che si cibavano di sangue umano. Nella tradizione ebraica Lilith era addirittura la prima moglie di Adamo, che la ripudiò per la sua lussuria e la sua indole malvagia. E la donna, abbandonata, decise di vendicarsi sui figli di Eva seducendoli per succhiare il loro sangue.
Anche i greci e i romani credevano all’esistenza delle Empuse e delle Lamie, demoni, o streghe con caratteristiche simili alle lilitu.
La parola “vampiro” ha un’origine slava che dovrebbe significare “mago che succhia”. Ogni popolo di quell’area descriveva i vampiri con caratteristiche e nomi diversi anche se alcune caratteristiche erano simili. In sostanziasi riteneva che dopo la morte alcuni individui, in particolar modo stregoni e persone molto malvagie, potessero continuare un esistenza di non morto, preservandosi dal deperimento mediante la loro alimentazione. Di notte infatti uscivano dalle tombe per succhiare il sangue ai vivi. Credenze antichissime fanno del sangue un prezioso liquido da offrirsi in olocausto agli dei, ai demoni e agli spiriti dei defunti che attraverso esso si alimentano e rimangono attaccati alla vita.
Al di fuori del mito attorno al XVII -XVIII secolo nelle regioni orientali dell’impero austro Ungarico ci furono vere e proprie epidemie di vampirismo. Le tombe venivano aperte e i cadaveri che parevano presentare i caratteri del vampiro (corpi non consumati, posizioni innaturali, secrezioni sanguigne, ecc.) erano impalati e dati alle fiamme. Ci furono varie inchieste finché si giunse alla conclusione che si trattava di fanatismo e superstizione, alimentato da un lato dall’ignoranza de popolo e del clero locale, dall’altra da particolari caratteristiche del terreno che rallentava i processi di decomposizione.
La figura letteraria del vampiro come personaggio colto e seducente, di contro ai vampiri contadini e grotteschi della tradizione popolare, compare nell’opera di John Polidori “il Vampiro”: Lord Ruthven, l’inquietante protagonista, è ispirato alla figura di Lord Byron.
La grande fortuna letteraria del vampiro si deve comunque al Dracula di Bram Stoker, che si ispirò alle leggende dell’area slava, rendendo protagonista della storia un personaggio reale: Vlad III (1431 –1476), voivoda della Valacchia (nell’attuale Romania), detto “Tepes” (“impalatore”) per la sua abitudine di condannare a morte mediante impalamento i nemici e i colpevoli dei reati anche più lievi. Il suo soprannome, “Dracula”, deriva dal simbolo del drago (suo padre apparteneva all’Ordine del Drago), ma “dracul” in romeno vuol dire anche “demonio”.

Il licantropo, o uomo lupo, è anch’esso presente nei miti più antichi. In ambito scandinavo il mostruoso demone lupo Fenrir, figlio del malvagio Loki, è destinato nel giorno del Giudizio, il Ragnarok, a divorare lo stesso Re degli dei Odino.
Nel mondo norreno e germanico esistevano clan di guerrieri che indossavano pelli di lupo ed in battaglia si comportavano con la loro stessa ferocia attaccando in gruppo i loro bersagli. In questo differivano dai Berserkir, gli invasati di Odino, che durante il combattimento subivano trasformazioni mostruose e si comportavano come orsi furiosi. È probabile che dietro queste tradizioni si nasconda l’uso di assumere pozioni contenenti sostanze alcoliche e allucinogene che facevano perdere ai combattenti il senso della paura, del dolore e della realtà.
Nella letteratura latina non mancano esempi di veri e propri Uomini Lupo. La metamorfosi di uno di questi è narrata da Petronio nel Satyricon.
Nel medioevo era convinzione diffusa che gli stregoni (specie se nati in modo blasfemo la notte di Natale o dell’Epifania) potessero trasformarsi in lupi, talora mantenendo parzialmente la capacità di deambulazione bipede. Anche le capacità mentali potevano rimanere umane, benché spesso lo stregone non ricordasse nulla o forse ricordasse come un sogno, le proprie scorribande lupesche. Anche in questo caso è utile ricordare che gli ingredienti delle pozioni usate dagli stregoni contenevano sostanze fortemente tossiche ed allucinogene.
Vi furono molte cacce ai lupi mannari. Spesso queste si concludevano con il processo e la confessione, strappata mediante tortura, da parte degli stregoni. Si riteneva che la trasformazione avvenisse per mezzo dell’uso di una cintura magica o di un altro amuleto, donato dal demonio. In molti casi erano le pelli di lupo stregate a provocare la mutazione.
Non mancano casi in cui l’uomo lupo era un reale serial killer antropofago, che dopo aver ucciso decine di persone finiva la sua vita sul patibolo, come accade ad un certo Peter Stubbe, decapitato e bruciato dopo aver confessato, sotto tortura, di aver ucciso, nel corso di venticinque anni, due donne incinte e tredici bambini, compresi i suoi figli.

Secondo la tradizione il morso del vampiro spargeva il contagio, facendo rinascere come vampiro la vittima. Al contrario il morso del licantropo non era contagioso. Diventare uomo lupo era infatti una scelta, conseguente ad una sorta di patto col diavolo.
Altra differenza importante era il fatto che il vampiro era un non-morto confinato durante il giorno nella tomba, mentre il licantropo era un essere umano che conduceva una vita normale e periodicamente mutava la sua forma.
Una cosa accomunava i due mostri: il vampiro poteva trasformarsi in lupo per accrescere i propri poteri o comandare interi branchi, come “pastore di lupi”. Mentre lo stregone lupo, dopo la morte, poteva risorgere come vampiro…

Mi chiamo Gianni (ovvero, il mio… 1984)

Son lì che guardo il Ducati, che fa un effetto strano, sul cavalletto, senza la ruota posteriore. Il gommista è lì che trappola con la macchina e leva il vecchio pneumatico, che poi non era neanche tanto consumato, ma era di un tipo che non andava un granché. Lo guardo a lungo, attento, mentre gli calza il nuovo Dunlop K 181, che adesso ti faccio vedere io le pieghe. Non subito, i primi chilometri ci vado piano, me le pulisco e me le preparo per bene, poi la butto giù un po’ per volta. La radiolina bianco latte trasmette una bella canzone di Phil Collins, di un paio di stagioni prima…
Tù-tù tutùmm…! quattro colpi di batteria e poi I can feel it coming in the air tonight, Oh Lord…! E’ la tarda primavera del 1984, e Orwell c’ha quasi preso, con il suo romanzo del 1948, ma insomma in motocicletta si può ancora andare…
Attento, ragazzo, allacciale bene quelle scarpe alla mia bambina, penso guardando il garzone che spennella il lubrificante e poi la macchina che fa girare piano il cerchio. E… plomp! la gomma va in sede. Gli sistema la valvola e poi dentro con l’aria… paff!...paff! Si sistema per bene, il Dunlop; con quei colpi del tallone sul cerchio si smuove un po’ l’aria ferma dell’officina e sento il profumo della gomma nuova, nera nera e semilucida. E’ lì che arriva il tipo con la barba. Scende da un Ford Capri bianco. E’ vestito anche lui da lavoro, sarà un meccanico o un elettrauto. A dir la verità un elettrauto è diverso, l’elettrauto è più pulito di un meccanico. Lui è una via di mezzo; guarda la moto con gli occhi furbi. Un lungo silenzio, inframmezzato solo da qualche rumore di ferri ed il rimbalzo della ruota sul pavimento grigio; poi, dopo che il gommista ha tolto la ruota dalla macchina rossa e nera dell’equilibratura, il tipo barbuto mi fa:
“Come va il Ducati?”. Io mi giro e gli dico, come lo conoscessi, che sì, va bene, ma da uno scarico mi fa un niente di fumo biancastro, un niente, ma c’è. Anche perché l’altro non lo fa, non è un’impressione. Alla concessionaria han detto che “va bene così”, ma secondo me è perché non sanno metterci mano. Lui ascolta e sta zitto, ma c’ha sempre quello sguardo un po’ furbo e molto appassionato alla cosa. Sembra che la sappia più lunga, dietro la generica domanda, un po’ da bar, così, tanto per chiacchierare. Ormai la moto è pronta e mentre vado a pagare le mie due nuove Dunlop lui mi fa, a sorpresa: “Posso dare un’occhiata?”.
Io non so perché, ma gli dico di sì, mi fido, mi sa che sa. Lui, dopo il mio permesso, che sembra non sorprenderlo più di tanto, tira fuori un cacciavite dal giubbotto e si avvicina al carburatore di competenza del cilindro – lievementissimamente – sfumacchiante in alcune circostanze. Accende il motore ed ascolta. I due cuori di Borgo Panigale gli raccontano…
Dopo un paio di botta e risposta tra lui e i pistoni, attraverso qualche colpetto di gas, un po’ un carotaggio geomeccanico sullo stato di salute del Desmo, lui tocca un Dell’Orto col cacciavite. Poi ascolta. Secondo me non ha nemmeno girato una vite. O forse no.
Poi un lungo e leggero crescere di giri, una sosta, poi un colpetto di gas ed un’altra toccatina in punta di cacciavite, soltanto di un niente più a lungo di prima. Io guardo gli scarichi, il destro un pelo alita ancora bianco, ma lo vediamo solo io e lui, ormai. Già, lui, gli sto lasciando toccare la mia Paprika rossa e gialla e non so neanche come si chiama… Ma son tranquillo, si vede il tocco dell’artista. O ha studiato recitazione all’Actor’s Studio con Steve McQueen, ho è un artista. Un altro tocco e un altro pelo di giratina col cacciavite dal manico albicocca.
Brummmmm!... ùmmm! Cazzo, non fuma. Va su di giri, il Ducati. E continua a non far fumetto, poi lui cala e sgasa e sgasa, ma non troppo, niente di volgare, son colpi di archetto sul violino, canto barocco-emiliano. Inimitabile. Pù-pù-pù-vrùuummmm! Canta rotonda come mai, la Ducati Pantah, canta come Phil Collins e tutti i Genesis, anche se lui è andato, il Phil, per gli affari suoi. I can feel…! In the air…! Cazzaròla, se gira. Sì, gira, rotola, scorre come non lo aveva mai fatto, prima. Lui si volta, per la prima volta da quando ha iniziato il lavoro e mi guarda interrogativo, ma c’ha gli occhi che ridono. Fa finta di aspettare il mio giudizio, ma lo sa che il Ducatino canta come lo voleva sentire l’ingegner Taglioni quando lo ha disegnato su un foglio di carta. Io mi faccio una risata e mi batto le mani aperte sulle cosce e lui capisce che è il mio ringraziamento. Sono contento, è come se mi avessero maggiorato la cilindrata del 350 a 400. Stringo i pugni, li agito in aria come se tagliassi un traguardo in corsa e sorrido ancora. Allora, finalmente, ride davvero anche lui. “Mi chiamo Gianni”, dice, porgendomi la mano.
“Marco”, gli dico io. E Basta. E restiamo lì che sorridiamo come due imbecilli soddisfatti, ma il gommista, uomo di mondo, ha capito tutto. 

Marco Franceschini

martedì 8 dicembre 2009

Lettera dal Cuore


Ciao Anima Mia
non ci parliamo più ormai. La tua corsa contro il tempo non ti permette di fermarti mai. So che mi senti, anche se ultimamente il mio incedere costante pare darti addirittura fastidio…
Da troppo tempo questo posto è così ampio, spazioso…e vuoto. La vetrata immensa dei tuoi occhi che lo illuminava non c’è più. Ma si riflette ugualmente sulle mie pareti l’immagine di quello che vuoi apparire fuori. Non sei tu quello che vedo. E’ finzione.
Una volta qui c’erano un sacco di idee e molti colori. Sogni, ambizioni e tanta voglia di scoprire il mondo. Era pieno di pensieri, parole e desideri vivi. Parlavi con me tra le mani.
Io lo so, il vuoto che c’è qui è dettato dai tuoi silenzi…e da quella stanza. Cosa hai chiuso dietro la porta scura? Quando si spalanca improvvisamente la richiudi subito con forza. Stai male, tremi al solo pensiero. Temi che qualcuno capisca chi sei veramente? E scoprire che hai ancora un cuore. Basta! Ora non m’importa più se ti tappi le orecchie e chiudi gli occhi lasciandomi completamente al buio. Urla e lasciati andare alla disperazione…non m’importa nulla! Ora io apro quella porta…

(rumore di porta che si apre)
«No papà…scusa…! Non volevo…»
«Smettila…stupido che non sei altro…!!!»
«Per favore, metti giù quella bottiglia, ti prego papà!»
«Non sarà certo un nanetto come te a dirmi cosa devo fare!»
«Ma ti fa male bere così tanto…ti scongiuro…»
«Vieni qua che ti faccio sentire io il vero dolore!»
«No per favore papà…non picchiar…papà…noo…»
(rumore di porta che si chiude)

Ecco chi sei. Sì, ora piangi pure…piangi forte. Le lacrime lavano la vetrata e qui dentro sta tornan-do un po’ di luce. Hai potuto raccontare bugie a tutti, ma non potevi mentire a te stesso per sempre. Io sono qui con te, batto per te…Dài voce alla tua sofferenza…dai voce a me.
il tuo Cuore

sabato 5 dicembre 2009

Il noir non mente mai, parola di Paolo Franchini...


In estrema sintesi, bugia significa inganno (o astuzia) e sembra trarre le proprie origini dal latino bauscìa (o baucìa) e assumeva, più che altro, il significato di cattiveria, cattivo oppure guasto. Per qualcuno, poi, la ragione dell'aggettivo bugiardo arriva dal tedesco arcaico: da bösartig, per l'esattezza, che sta a indicare maligno.

Devo anche dire che bugia ha un altro significato perché indica anche una sottile candela. In questo caso, sembra proprio derivare dall'arabo Bidgiaya, ovvero dal nome della città africana che, ancora oggi, fornisce una gran quantità di cera. Per capirci, comunque, la bugia è un piccolo disco di ferro con un anello su un lato per maneggiarlo e una specie di bocciolo di fiore al centro per potervi inserire la candela.

E adesso il consueto sguardo alla classifica dei libri più venduti in Italia nell'ultima settimana.
Qualcuno rimarrà deluso, ma stavolta nessuno scossone né sorpresa: al terzo posto si conferma Niccolò Ammaniti con il suo “Che la festa cominci” (Einaudi), al secondo Alessandro Baricco con “Emmaus” (Feltrinelli) e in vetta, ancora una volta, Dan Brown e il suo “Il simbolo perduto” (Mondadori).

Nelle retrovie, invece, si fanno avanti due romanzi che possono riproporsi sul podio con prepotenza: al quarto posto, infatti, ecco la scrittrice Fred Vargas con “Scorre la Senna” (Einaudi) seguita a ruota dal giallista-tabagista Andrea Camilleri che torna a farsi vedere nelle prime posizioni con l’ultimo romanzo “La rizzagliata” (Sellerio). È proprio vero che Natale è ormai alle porte...

Qualche consiglio di lettura noir
La terra della menzogna (di James Crumley)Si tratta una storia ad "alta gradazione alcolica" con i personaggi che si dividono in cattivi e... cattivi. Milo è andato vivere in Texas, si è comprato un bar e ha tolto di nuovo dal cassetto la sua licenza di investigatore privato. Mentre la storia d'amore con la dolce Betty sembra ristagnare, l'uomo accetta di seguire alcuni casi ordinari, ma quasi subito si scontra con un nero gigantesco che ha appena fatto fuori un noto spacciatore.
Euro 14,00 - Pagg.365 – Einaudi

La verità bugiarda (di Raul Montanari)Un tranquillo traduttore italo-tedesco affitta un bilocale nel milanese. Nella casa, però, vivono solo inquilini che sembrano nascondere un segreto. La cosa non lo sconvolge più di tanto, perché anche lui – forse - ha qualcosa che non si deve sapere. Poco lontano, lungo la ferrovia, sono stati commessi due delitti. Al nostro traduttore, però, serve poco per addentrarsi in questa Milano enigmatica e affascinante, dove le trame terroristiche non mancano e dove un omicidio politico è destinato a fare epoca. Il mondo che ci racconta Montanari in modo spietato sembra proprio andare alla deriva, fra le disillusioni di una generazione di trentenni costretti a vivere la vita in assoluta precarietà, dall'amore al lavoro ai rapporti familiari.
Euro 16,80 - Pagg.312 - Baldini Castoldi Dalai

False verità (di Rupert Holmes)In questo libro si racconta la storia di una giovane giornalista, famosa per le sue interviste e la propria avvenenza, che deve scrivere un libro su una coppia di comici degli anni '60. All'apice del loro successo, nella stanza d'albergo in cui alloggiano viene ritrovato il cadavere di una donna e, sebbene entrambi hanno un alibi di ferro, l'incidente stronca di colpo sia la loro carriera professionale sia la loro amicizia. Convinta che i due uomini nascondano qualcosa di davvero grosso, la giornalista inizia una personalissima (e rischiosa) ricerca della verità.
Euro 18,00 - Pagg.476 - Fandango

Il paese della menzogna (di Christopher Brookmyre)Un reporter d'assalto è il protagonista di questo romanzo feroce e provocatorio che si colloca a metà strada tra thriller e romanzo di denuncia. Un magnate dei mass media viene massacrato insieme alla moglie e una banda di ladruncoli viene subito data in pasto all'opinione pubblica. Il famoso capro espiatorio, insomma. I servizi segreti si buttano nella mischia e, d'intesa con la stampa, fanno di tutto per manipolare l'informazione e scatenare una caccia all'uomo. L'obiettivo è uno solo: eliminare i quattro malcapitati ladri prima che si possano proclamare innocenti. Il giornalista, però, caparbio e sospettoso come non mai, si muove per conto proprio per far capire come stanno realmente le cose. Il romanzo è permeato da una corrente di comicità che sembra pronta a esplodere a ogni capitolo, ma anche da una notevole e corrosiva dose di satira politica.
Euro 15,00 - Pagg.316 - Meridiano Zero

I miei auguri di buon compleanno, questa sera, vanno ad Alexandre Dumas padre che compie oggi la bellezza di 207 anni. Ricordare alcune opere di questo scrittore francese è forse superfluo, perché sono suoi romanzi grandiosi come I tre moschettieri, Il conte di Montecristo e Il tulipano nero.

Anche il figlio, comunque, non ha scherzato affatto e, tra le sue tante opere teatrali e non, va senza dubbio citato il romanzo La signora delle camelie che, non dimentichiamolo, è la base su cui Verdi ha costruito La Traviata.

Live a Siamo in Onda

Grande serata la nona puntata di Siamo in Onda il salotto radiofonico di Puntoradio. L'ospite musicale della serata è il grandissimo Esteban Diaz. Ecco le foto della serata.

Il Riso: terza e ultima parte

La risaia come "un passaggio della storia"...

La storia passa sulle risaie come sui campi di grano, sui frutteti… La risaia è nata nel XVI secolo e ha messo in condizione il territorio di Novara, naturalmente ondulato e ricco di dossi, di appiattirsi. Ha prodotto la nascita di scuole di agrimensura e di idraulica, ha prodotto una classe di agricoltori ricchi, di affittuari, di notai e avvocati proprietari terrieri. Ha generato la nascita della categoria lavorativa delle mondariso, ha vissuto l’esperienza delle guerre: Novara è terra di confine, ha visto guerre e subito passaggi di proprietà, dai Visconti-Sforza ai Savoia, dagli Spagnoli ai Francesi, dagli Austriaci ai Piemontesi. E’ una terra solo in parte di identità piemontese. La nostra identità è profondamente ( e felicemente) contaminata dallo spirito lombardo. I nostri studenti studiano a Torino, ma anche a Milano e facciamo spesso spesa alla Rinascente di piazza Duomo.

Sembra che i valori tradizionali della "pianura" si siano apparentemente dissipati, come se l'onestà fosse un valore quasi da "vergognarsi", lo crede davvero e quale il loro destino?

Per fortuna l’onestà è un valore universale e non soltanto della pianura. Io ho inteso dire che stiamo perdendo i valori della civiltà contadina, legati alla trasparenza, alla lealtà reciproca, alla fedeltà alla parola data e, soprattutto, al rispetto per la terra e l’ambiente, alla volontà di vivere in sintonia con la natura.Certo, oggi se si dice francamente di pagare le tasse sino all’ultimo centesimo, si passa per pazzi o per stupidi, almeno in certe realtà. Io , comunque, all’onestà credo ancora e, a costo di essere derisa, lo proclamo a gran voce. Vorrei che soprattutto i politici e gli amministratori appoggiassero questa mia tesi… Per il futuro in Italia vedo nero! Spero molto nell’Unione Europea, invece!

Ernesta come figura femminile importante e punto di riferimento, quale il ruolo delle donne nel passato e quale nel presente?

Ernesta, mia nonna, era una donna forte e saggia, come la maggior parte delle contadine e delle donne, in generale. Le donne, secondo me, sono quelle sublimi creature che ovviano ai difetti dei maschi, lasciando loro la convinzione di essere gli artefici di tutto quanto c’è di bello e di grande nel mondo. Invece sono le donne che portano nel mondo la bellezza, la bontà, perché generano la vita e per un milione di altri motivi. Oggi le donne dovrebbero prendere coscienza che, se nell’Occidente sono libere di scegliere il proprio destino, lo devono proprio a quelle figure, come l’Ernesta, che hanno vissuto con dignità e determinazione il proprio ruolo, senza ripiegarsi in un ruolo di supina acquiescenza agli ordini dei maschi. Purtroppo le ragazze di oggi danno per scontato che la loro libertà sia un’acquisizione facile, quasi dovuta. Non è così. In ogni caso oggi occorre lottare perché le donne ancora schiave ( inserite nei canali della prostituzione coatta , per esempio) o subordinate alla sharia o tenute nell’ignoranza e escluse dai processi dell’acculturazione o fuori dai circuiti del lavoro, queste donne possano trovare il legittimo riconoscimento del diritto alla parola, all’istruzione, al lavoro, alla libera scelta della propria vita.

Un motivo per leggere il suo libro

Divertirsi, principalmente, perché il libro deve essere soprattutto un piacere. E poi perché ho cercato di descrivere con semplicità, ma assoluta e onesta veridicità un mondo nel quale affondano le radici degli Italiani: il mondo contadino.

Progetti per il futuro?

Sto per pubblicare un libro per ragazzi (Il lago dei ricatti), ambientato sul lago d’Orta. Anche qui ci sono personaggi in cui molti potrebbero riconoscersi, dai miei allievi ai bottegai di Orta San Giulio.

Il Riso: seconda parte

Dall'insegnamento alla scrittura, come è avvenuto questo passaggio e perchè questa esigenza?

Ho cominciato a scrivere testi scolastici per procurarmi strumenti di lavoro. Ho iniziato a insegnare a tempo indeterminato a 25 anni,nel 1976, in un istituto professionale, insegnavo "cultura generale" e,naturalmente non avevo libri adeguati.
Si usavano, infatti, testi in uso nel biennio degli istituti tecnici. Il mio primo testo uscì nel 1986 e si intitolava, guarda caso!, Cultura generale ed educazione civica. Appena edito il testo, però, sono stata trasferita in un biennio tecnico e mi sono trovata alle prese con I Promessi Sposi. Allora era in uso proporre agli studenti esercizi di comprensione del testo . Io, però, non avevo mai il tempo di dettare le domande. Ho deciso, così, di scrivere un eserciziario che Mursia ha pubblicato nel 1988. Di primo acchito ha venduto sessantamila copie. Segno che ce n’era bisogno. E’ stato forse il mio testo di maggior successo, si vende ancora. Poi la Casa Editrice mi ha proposto un’antologia dei Promessi Sposi. Mi è andata a genio l’idea di scrivere un testo semplice, che permettesse ai ragazzi di evitare la lettura delle pagine più ostiche e complesse del romanzo, sostituite da sobri riassunti commentati. Anche questo si vende tuttora.Ero, certo, emozionata e anche preoccupata all’idea di intervenire con “tagli” nei confronti di un “mostro sacro” come il romanzo del Manzoni. Ma poi ho visto che l’operazione funzionava e che la lettura veniva semplificata , a tutto vantaggio degli studenti.Quando sono passata al triennio e ho dovuto fare i conti con la Commedia di Dante, ho applicato lo stessa procedimento ed è uscita, sempre per Mursia, un’antologia della Divina Commedia che ancora si vende bene, semplice e piana, con i canti più difficili, articolati e, diciamo la verità, abbastanza illeggibili per ragazzi di sedici-diciotto anni, riassunti e commentati senza troppi voli pindarici. Nel frattempo, con un’amica, ho iniziato a scrivere romanzi per ragazzi ( per lo più polizieschi) e la Casa Editrici ha voluto che l’iniziativa proseguisse e divenisse la collana Apprendista scrittore: si tratta di romanzi d’avventura, intriganti, corredati da esercizi di scrittura creativa. Mi sono trovata a costruire un metodo piano e semplice per educare alla scrittura, approfittando della suggestione della lettura ( invitando i ragazzi a manipolare o integrare il testo o inventare finali diversi o a lavorare sugli stili e sulle tecniche ecc. e poi, acquisita esperienza di scrittura, suggerendo loro di cimentarsi in un breve testo completo e “tutto loro”) .Le scuole che hanno adottato i testi mi hanno così invitato a iniziative di “Incontro con l’autore” oppure mi hanno proposto di organizzare veri e propri corsi di scrittura creativa per ragazzi.Da ultimo sono approdata alla scrittura di racconti e romanzi per adulti.

Laboratori di scrittura creativa per i ragazzi quali le difficoltà e le soddisfazioni incontrate?

Educare alla scrittura è piacevole e divertente. Si tratta proprio, in senso etimologico, di e-ducere dalla mente e dall’animo dei ragazzi le parole che permettono di costruire un testo. Io, solitamente, sviluppo un percorso collettivo, quando si tratta di scrivere filastrocche o fiabe o racconti e anche, all’inizio, poesie, perché i ragazzi, insieme, si sentono più forti e collaborano più volentieri quando viene coinvolta tutta la classe. Lavorare da soli spesso li mette in difficoltà, perché non sanno come dare inizio al lavoro, ridacchiano, scherzano tra loro e non si schiodano dall’empasse.Si inizia con la progettazione del testo ( l’idea fondamentale su cui lavorare, la delineazione dei personaggi, la stesura, per sommi capi di un intreccio ecc.). Successivamente si correda questo progetto di parole adeguate e, infine, si passa a una spietata analisi per la drastica correzione di tutto ciò che non va…Difficoltà? Non ne trovo, se la classe ha entusiasmo e mi segue con fiducia. E’ invece problematico se è una classe demotivava e indisciplinata, ma mi è capitato molto raramente di trovarne.

Come si è documentata per scrivere "il Taglio del riso e altri racconti di pianura"?

Questa raccolta di racconti è nata dal desiderio di rendere omaggio a mia madre, la Giuse. I protagonisti, infatti, sono i miei nonni materni, mia madre e le mie tre zie. In realtà non ho avuto bisogno di documentarmi: le storie erano quelle che nei lontani anni Cinquanta ( io sono nata nel 1951) sentivo evocare, la sera, nel tinello della casa dei miei nonni dove ho vissuto sino a sei anni e che poi ho frequentato a lungo ancora. Allora ancora non c’era la TV, si ascoltava la radio, ma si chiacchierava molto. Le mie zie, che solo nel 1946 avevano lasciato la cascina Bertottina per venire a vivere in città con in genitori, ricordavano con nostalgia la loro adolescenza e giovinezza. Quegli anni, la cascina, alcuni personaggi e animali ( il maiale Batiston è esistito davvero e così il cavallo Grillo, il cavallante Miglio ecc.), venivano evocati quasi in tono mitico ( ha presente il mito dell’infanzia di Pavese?). Quelle conversazioni, l’evocazione di ricordi mi incuriosivano, perché anche si parlava di guerra, di partigiani , di un passato “recente”, ma remoto al contempo, perché erano ormai gli anni della Repubblica, del miracolo economico. Io ero una bimbetta, assorbivo emozioni . Mia madre mi raccontava spesso dei due soldati inglesi ospitati da mio nonno in cascina e della loro partenza. Mi raccontava delle sere, trascorse al buio ad ascoltare la BBC, di un aereo, soprannominato Pippo, che sparava a ogni raggio di luce, la notte, che mitragliava i treni di giorno. Quando ho deciso di partecipare al concorso “Dante Graziosi”, bandito dal Piccolo Torchio (alias Interlinea), ho raccontato proprio una di quelle storie e ho sottoposto a un arduo interrogatorio mia madre e mia zia Vanna ( oggi l’unica sopravvissuta), per saperne di più. Ma ho scoperto che i testimoni oculari spesso sanno molto poco di quanto accade intorno a loro, se si prescinde dalla loro esperienza personale. Allora ho chiesto al dottor Mauro Begozzi, direttore dell’ “Istituto storico della Resistenza” di Novara, che è una meravigliosa fonte di sapere in merito di storia locale degli anni Trenta e Quaranta soprattutto. E poi ho consultato libri che hanno illuminato anche mia madre, la quale solo allora è riuscita a spiegarsi tante incongruenze sulle quali aveva sempre sorvolato. Per esempio abbiamo scoperto perché mai l’8 settembre 1943 due soldati inglesi fossero piombati in cascina da mio nonno e avessero bisogno di nascondersi.

Il grande ingannatore e i suoi figli

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza.

Dante, "Inferno" XXVI

Tutto cominciò con una bugia, ricordate?
“Mangiate dell’albero di questo frutto e non morirete, anzi sarete simili a Dio!”
E noi lì di corsa ad ingozzarci dei frutti dell’albero della conoscenza del Bene e del Male solo per scoprirci nudi, deboli e mortali. La più grande truffa della storia. D’altro canto cosa vi aspettate dal grande drago, il serpente antico, colui che chiamano il Diavolo e Satana, dal Grande Ingannatore insomma? Ma noi umani imparammo presto il trucco e diventammo maestri nell’arte della menzogna.

Ulisse, il “mai sazio d’inganni” ci costruì la sua fama. Così bugiardo che quasi gli riuscì quello che sarebbe stato il colpo della sua vita: evitare di andare alla guerra contro la città di Troia. Avendo saputo da un oracolo che se fosse partito sarebbe stato lontano da casa venti anni, si finse matto. Fu smascherato da un tal Palamede che prese il figlioletto di Ulisse e glielo mise davanti mentre faceva pazzie guidando l’aratro. Ulisse si fermò, naturalmente, perché non era mica pazzo. Ma se la legò al dito. Così Palamede, guarda caso, non fece mai ritorno dalla guerra. Uno strano incidente lo tolse di mezzo. Nella sua tenda vennero trovate delle monete e una lettera compromettente del re nemico. Prove sufficienti a farlo condannare a morte. Prove, secondo alcuni, messe ad arte dalla “manina” di un “noto” ingannatore.



Come è risaputo, l’arte di ingannare dell’eroe greco si rivelò fondamentale anche per la fine della guerra. Fu sempre Ulisse, infatti, a confezionare il più grande “pacco” della storia. Un enorme e bellissimo cavallo di legno lasciato in dono agli abitanti di Troia dai Greci, ufficialmente stanchi della guerra. Un vero portafortuna, spergiurava l’attore greco ingaggiato da Ulisse per fare la parte del disertore, un talismano in grado di rendere imprendibile Troia assicurandole l’eterna protezione divina, se fosse stato portato dentro la città. I troiani abboccarono e demolirono pure le mura per far introdurre quel gigantesco arnese, che proprio non voleva saperne di passare per la porta troppo stretta. Così quella stessa notte, mentre i Troiani dormivano ebbri e felici, Ulisse e i greci uscirono dal cavallo in cui erano nascosti e diedero il via al massacro.
Ulisse finì all’inferno per questo (e altri) inganni perpetrati nella sua lunga carriera. Almeno questo ci dice Dante, che lo incontrò all’Inferno. Il poeta tuttavia ne fu affascinato e ne restituì il grandioso ritratto di uomo che per amore della conoscenza è pronto a sacrificare la vita.




L’astuzia, l’inganno, la frode in fondo ci affascinano. Certo non i truffatori che raggirano le persone anziane ed indifese. Quelli sono infami almeno quanto coloro che ingannano i bambini. Ma gli altri? Quelli capaci, come Totò di vendere la Fontana di Trevi al turista in cerca di facili affari? O come il re della 'stangate' Frank Abagnale Jr., interpretato sullo schermo da Di Caprio? Quelli alla fine, ammettiamolo, ci risultano simpatici.



Perché l’astuzia e l’inganno sono la tentazione dell’intelligenza e il confine tra conoscenza e imbroglio talora è incerto come la differenza tra una banconota vera ed una falsa.

giovedì 3 dicembre 2009

Di nuovo il cioccolato, di nuovo il noir

Il cioccolato e la letteratura noir tornano a raccontarsi, proprio come avvenuto poche settimane fa nel nostro accogliente salotto.

L'occasione, questa volta, viene offerta dalla tappa varesina di Eurochocolate, la manifestazione internazionale nonché cultural-gastronomica che addolcirà la Città Giardino il prossimo weekend (più precisamente, dal 5 all'8 dicembre).

Paolo Franchini e il suo romanzo Soprattutto la notte, infatti, saranno fra gli ospiti della rassegna nella giornata di MARTEDI’ 8 dalle ore 17 presso il “Re Carlo” di piazza della Motta, proprio nel cuore di Varese.

Se siete ghiotti di cioccolata e di libri, quindi, non perdete questa occasione per nessun motivo.

Altri dettagli e ragguagli, nel caso, li potete trovare a questo link.